Delirio rosso seta

Delirio rosso seta

Genere: thriiller

 

Sono le 4.30 di una mattina qualunque, eppure decisamente diversa dalle altre: da un paio di ore sono sotto torchio alla caserma dei carabinieri di Porta Garibaldi. Dicono che stanotte ho ucciso un uomo. Ma ieri sera ero ad una festa, con il dottor Giuseppe Scanzi. Ho un alibi di ferro. “Chiedete a lui”.
Ricordo di aver bevuto tequila. Sul terrazzo di quella casa i miei occhi hanno incontrato quelli di un ragazzo, forse uno dei camerieri. Occhi nerissimi come la notte, vuoti come un buco nero e ci sono caduta dentro.
Ricordo di essermi addormentata nel letto del dottore, dopo aver fatto del buon sesso. Ma il mio sonno è stato brutalmente interrotto: intorno alle due sono stata prelevata  da due carabinieri. Ho fatto anche pensieri sconci su uno di loro: ragazzo bello, alto biondo e con uno sguardo di ghiaccio.  E se tutto questo mi è così chiaro l'unica verità è che non sono stata io.
“Sono innocente. Dovete credermi. Qualcuno vuole incastrarmi”.
Mi chiamo Sara Boschi, sono un avvocato penalista, vivo sola in un piccolo appartamento alle porte di Milano. Con me solo Penelope, un gatto randagio che mi si è incollato una notte di primavera, quando mi addormentai su una panchina dei giardini pubblici.
Oggi 15 Ottobre 2010 l’inizio della fine. Indagata per l'omicidio di Giulio Pergolesi.
Eppure questo nome non mi è nuovo…e mentre lo ripeto sento che qualcosa in me si rompe. Scatta, come una serratura chiusa a doppia mandata. Sarà il rumore della porta della caserma: le prove non sono sufficienti. Dormirò ancora nel mio letto per stanotte.
"Ora vago solo e alla ricerca di un perché. Cerco di capire cosa ha scatenato la tua ira contro di me. Non credere che la tua vita sarà quella di prima. Non te la lascerò, se non priva della tua anima che porterò con me, con tutti i desideri e le incertezze, che ti hanno resa così immortale ai miei occhi. Tu, che hai chiuso la mia vita dentro il tuo segreto. Non ti lascerò andare da nessuna parte, leggerò in ogni tuo pensiero e prima che tu dica una sola parola sarò davanti ai tuoi occhi a ricordarti di me".
Un brivido mi pervade tutto il corpo, eppure sono  sveglia, non sto sognando. Quella voce così imponente mi fa perdere l'equilibrio e mi appoggio al piano della cucina. Cosa ho fatto! Sto cercando di ricordare, ho la sensazione che mi stia crollando addosso un mondo che non è quello in cui sono. E’ un’esperienza o un mistero? Io, quella che ha dedicato la sua vita a difendere, pensare, programmare, decidere tutto nello stesso istante, sono ad un passo da perdere tutto quello che sono stata fino a questo momento e che cambierà la mia vita. Come ho potuto…non riesco a crederci! Prendo il coltello sul tavolo, puntandomelo dritto al cuore.
Mi sento afferrare, mentre qualcuno delicatamente mi toglie il pugnale e mi stringe. Solo adesso mi rendo conto che nell'altra mano ha una Katana, ma è così dolce essere tra queste braccia. Poi quella paura e quella voce mi pervade ancora una volta. "Solo io potrò avere la tua vita, come tu hai avuto la mia e solo io deciderò quando". Rimango stretta a lui, con il sangue gelato per non so quanto tempo. Sono in balìa di questo tenero abbraccio che mi lega alla morte.
All’improvviso, in preda al delirio, esco fuori dalla cucina in cerca di qualcosa di reale. Salgo le scale di corsa per recarmi nel mio studio. Con il fiato corto e lo sguardo perso, ho solo un pensiero fisso nella testa: non sto diventando pazza. Non sono pazza! E’ qui…qui, tra questi fascicoli. Sì, sì, è qui. Lo devo trovare. Ho il cuore che va a mille, non riesco a recuperare il fiato, l’ansia mi sta distruggendo e con lei anche la paura di ciò che mi sfugge. Mi devo fermare, ho la testa confusa, ho bisogno di ossigeno, ossigeno. Per un istante chiudo gli occhi e lentamente sento che il panico comincia a scemare. Riprendo con calma la ricerca. Devo solo ricordarmi il numero. Sì, era una cartelletta del settore B, numero …. numero 190… maledetta memoria!. Squilla il telefono. Proprio adesso ed io non ho voglia di rispondere. “Ciao tesoro! A che ora passo a prenderti stasera?”. Uscire? Non riesco nemmeno a pensare. Resto in silenzio. “Ci sei? Va tutto bene?”. “Si, scusami! Ero alle prese con lo studio di un caso. Ma … dicevi di stasera? Ti dispiace se ci sentiamo tra un po’? In questo momento sono in confusione e domani dovrò incontrare il cliente…”. Mentre riattacco il telefono urto la pila dei fascicoli sulla mia scrivania ed in men che non si dica ecco centinaia di fogli sparsi sul pavimento.  –Maledizione! - Impreco, mentre comincio a raccogliere i fogli. –E questa cos’è?- Tra le carte s’intravede l’angolo di una foto. Sfumature rosse su fondo nero ….  Il cuore comincia ad accelerare mentre sfilo quell’immagine da sotto le pagine dei documenti. Un uomo dal volto sfigurato, una donna nuda, coperta da un lenzuolo di seta rosso. - Non sto diventando matta!-.
“No, non stai diventando matta, ma solo te stessa! Ricorda, ricorda, quando ti ho accompagnata fuori per le strade della città… li senti? Il buio, la paura, il disagio, il freddo, la sete e la fame? E quelle grida, che non riesci a capire da dove provengano? Non ce la fai? Eppure eri così brava, così sicura di te stessa. Mi hai stupito, sai! Non credevo fossi in grado di muoverti così a tuo agio nella notte! Ma stavolta hai sbagliato… hai preso me, ed ora io non ti lascerò tanto facilmente!”.
Ancora quella voce. Rabbrividisco. Annichilita mi raccolgo quasi in posizione fetale, mentre sto raccattando i fogli finiti a terra. Nascondo la testa tra le braccia, mi viene da piangere e non ho il coraggio di alzare lo sguardo perché quella voce è qui, proprio dietro di me. So che c’è qualcuno nella stanza, sento i suoi occhi di brace posarsi su di me e scottare. Il suo sguardo mi brucia. Non piango, o almeno credo…ma tremo, tremo come una foglia. Vorrei chiedere di chi è quella voce, ma la mia è rotta dal terrore. Non chiudo gli occhi; se lo faccio di sicuro torneranno quelle visioni tremende, di notte, vicoli bui, follia e sangue… e sangue.
Non ce la faccio più! Stringo le braccia intorno alla testa, come se mi potessero proteggere, ed infine…Eccolo! Oh, no! Ha il suo volto, ne sono sicura! Lo vedo bene quel viso, che si gira di scatto nell’ombra ed infila il suo sguardo nel mio! Lo odio e lo colpisco! Lo colpisco ancora, perché se ne vada via. Ma lui resiste… e mi guarda. Entra in me. Grido. Grido disperatamente, ma so che nessuno sentirà quest’agonia, perché l’urlo è in me, dentro di me.
Mi sveglio di colpo, madida di sudore. Il respiro affannato. Il buio è ovunque intorno e sembra volermi inghiottire. Lui non è qui. Eppure c'era. L'ho visto. L'ho sentito. "Dove sei? Cosa vuoi da me?". La mia voce trema, come le mani. E il silenzio intorno si rompe: tintinnio di chiavi e passi. Piccoli e veloci. Una luce squarcia la notte, dentro e fuori di me. Fatico a mettere a fuoco. Il dottor Scalzi è qui, mi siede accanto. Sorride, ammiccando. Non so dove sono: non è il mio studio questo. Non è casa mia!
"Amore! Hai fatto un brutto sogno?", mi sussurra lui. "Di notte la tua coscienza cerca di venire a galla. Ma non ti preoccupare: ora la mettiamo a tacere". Lo guardo, ma non capisco. Non ricordo nulla. Annaspo. Mi sembra di essere al centro di un tornado. Di immagini. Suoni. Frammenti di un passato che non mi appartiene, che non riconosco. Eppure sento che è il mio. È fatto di sangue, che mi cola dalle mani. Che mi veste, come seta. "Io non sono un'assassina". È un'affermazione...o una domanda, la mia? Non lo so. Non so più nulla. Non so chi sono. Ma forse lui sì. Lo guardo. E annuisce. "Erano vite inutili. Solo gramigna da estirpare. E tu le hai strappate via quelle radici. Con grazia e decisione. E mentre le recidevi la loro linfa vitale ti scorreva tra le dita...ti entrava nella pelle...aumentando la tua sete di potere. Sei una dea ora. La mia musa. Ti hanno chiusa qui perché pensano che tu sia pazza, ma i folli sono loro. Noi possiamo decidere del loro destino. E se vogliamo possiamo prenderci anche le loro vite!" Il suo ghigno assordante mi dà la nausea. O forse sono io che mi faccio schifo da sola. Sono solo una pazza. E un'assassina.
Il dottor Scalzi mi guarda con occhi benevoli, mentre picchietta la siringa per far uscire le bolle. Non ci sto, non lo farò di nuovo. O forse lo farò per l’ultima volta. Svuoto i miei occhi dal terrore, lo assecondo e accenno un sorriso. Gli allungo mollemente il braccio, supplicante di iniettare, implorante, per far smettere il tormento che mi brucia dentro. Ma la parola fine la metterò io. Mi accarezza, sta per puntare la siringa ma l’afferro, la strappo dalle sue dita. Lui è stupito: non si aspettava una reazione. La impugno forte, mi alzo di scatto. Sento cedere la tensione del suo bulbo oculare sotto la pressione dell’ago. Prima che lanci un urlo afferro l’abatjour sul comodino, è di quelle anni cinquanta con un bel piedistallo di ghisa. Il primo colpo lo sferro alla gola, per sigillare le urla. Il secondo proprio in mezzo alla fronte, affossandola, per sigillare i pensieri. Mi stupisco della mia freddezza, dalla mia rapidità e maestria nell’uccidere. Dio solo sa quante volte l’ho fatto, quanto sangue sta per riaffiorare dai miei ricordi. Quello che resta di Scalzi crolla di fianco al mio letto; quello che resta dei ricordi si aggroviglia materializzandosi sempre più nitidamente sopra la mia testa, tra poco mi schiaccerà. Mi alzo, sono nuda, mi avvolgo del lenzuolo rosso, indosso le mie scarpe e mi muovo verso la finestra, la apro.
L’aria della notte s’insinua tra le pieghe della seta e le curve della mia pelle. Sembra tutto così calmo ora; sembra tutto così fresco e pulito, mentre il mio corpo pattina nel vuoto della notte, scivola veloce lasciando dietro i pensieri. Non so se l’impatto al suolo sia stato doloroso: ricordo solo il tacco rotto della mia scarpa davanti ai miei occhi, l’ultima immagine della mia vita.