Mamma ti amo
Nel buio retrobottega di quel negozietto con la vetrina lurida in cui campeggiava la scritta "Tattoo - un tatuaggio per sempre. Tatuaggi di tutti i tipi e di tutti i colori", Dario non sentiva più dolore, come se il suo corpo si fosse abituato ad essere scolpito ogni volta che era necessario. La scelta di quel negozio era stata casuale. Ci era entrato quando aveva sentito che era il momento giusto ed in quel preciso momento aveva notato la vetrinetta e non aveva avuto esitazioni: era entrato e basta, anche se sapeva bene che poteva prendersi un'infezione, ma l'impellenza aveva vinto su qualsiasi precauzione. Guardava il suo tatuatore lavorare e vedeva piano piano nascere la frase che aveva scelto per lei. E questa volta aveva scelto l'avambraccio. Quel tatuaggio doveva essere sempre visibile, ogni volta che avesse abbassato gli occhi, ogni volta che il freddo avesse lasciato il posto alla bella stagione e lui si sarebbe messo le magliette con le maniche corte, ogni volta che avesse arrotolato le maniche della camicia. Sempre. Un tatuaggio per sempre. Gli occhi gli si appannavano mentre guardava l'opera uscire dai luridi aghi. Anche il tatuatore faceva schifo come la sua bottega, ma era bravo e Dario era sempre più contento e convinto della scelta fatta. Per lei questo ed altro. Soprattutto l'altro, che era venuto prima ed era stata un'esperienza indimenticabile. Un'esperienza come quella aveva oscurato tutte le altre e per questo motivo lui aveva sentito impellentissimo il desiderio di tatuarsi tutta la sua gratitudine per lei, per non dimenticare mai nemmeno per un attimo: Mamma, ti amo. La frase esprimeva il tutto e il niente: tutto il suo mondo e niente che lo poteva oscurare. Vedeva la scritta prendere vita sul braccio e sorrideva, mentre sotto le unghie aveva ancora tracce del sangue di lei.
Colore? Sì, certo! Desiderava un bel tatuaggio colorato. Dolore? Ehh, vabbe'... Cosa sarebbe stato mai un poco di dolore pur di sfoggiare l'effigie stessa dell'amore materno? Lui era frutto del suo grembo, sangue del suo sangue.
Sogghignò succhiandosi un'unghia. Il sapore metallico sulla lingua, il gusto del taboo, del peccato supremo e inconfessabile.
Mammina dolce, mammina cara, mammina che aspetta sino a tardi il rientro del figlio, mammina che telefona per sapere i desideri per pranzo e cena, mammina che stira le camicie con l'appretto, mammina che riveste i libri di scuola per non farli sgualcire...
Mammina che soffre di Alzheimer e tenta di nasconderlo, mammina che al mattino prepara caffè e latte con tanto amore e con lo stesso amore lo rovescia nello zaino sui libri accuratamente foderati.
Mammina che non è più mammina, ma una donna dallo sguardo vuoto e folle che tenta di cucinare il gatto buttandolo vivo in una pentola d'acqua bollente. Mammina...
Il tatuaggio sta venendo bene e l'affetto che prova per la madre sta prendendo una forma imperitura. Lui la ama, per questo vuole un ricordo tangibile e permanente, qualcosa che la malattia mentale o il tempo non possano cancellare.
Il fastidio al braccio è forte, ma la sua volontà è d'acciaio come lo è stata quando ha deciso che lo scempio che la senilità stava operando non avrebbe recato altri danni alla sua dolce mammina.
Basta danni...la mammina deve restare nella memoria così come adesso. Non deve vivere un secondo di più. Non la segnerà un'altra ruga, le smorfie che le ha regalato l'Alzheimer non modificheranno ancora quello sguardo dolcissimo. Oh, mammina...mammina mia... Adesso tornerò a casa e dopo aver spalmato bene l'unguento sul mio, sul tuo tatuaggio, mamma cara... mi occuperò di te come non ho mai fatto. Come tu meriti. Come è giusto fare! Preparerò il tuo pranzo preferito e poi ti saluterò per sempre. E' una buona azione. La migliore che io possa fare. Lo farò per te. Solo così resterai sempre con me.
Mi devo organizzare. Devo liberare il congelatore in cantina. Fare spazio... si... spazio... Comprare dei contenitori, ma ci penserò dopo. Adesso devo concentrarmi sul pranzo.
Il braccio fa male, ma è normale.
Perché la strada per tornare a casa è tanto lunga? Mi parevano due passi.
Il braccio pulsa, ma per te questo è nulla, mammina cara. Una tappa al negozio sotto casa e sarò da te.
- Buongiorno Dario, cosa ti è successo? Ti sei fatto male?- - No, no Fulvio...ho solo fatto un tatuaggio, una garza da tenere qualche ora. E' tutto a posto. –
- Anche tu un tatuaggio? Voi giovani siete tutti uguali. Che cosa ti posso dare oggi?-
- Un po' di patate, una scatola di piselli, del pane...e un cosciotto di tacchino. Alla mamma piace moltissimo! - L'uomo si girò e allungò la mano per prendere i piselli nello scaffale alle sue spalle.
- Poi... non so...cosa mi consigli? Devo pensarci io, sai? Ormai la mammina non esce più - Fulvio si guardò intorno - Che ne dici di una bella fetta di torta di formaggio? So che le piace parecchio. - Si, perfetto! LEI ne va matta. Le lascerà in bocca un gusto indimenticabile...-
Uscì dal negozio con il sacchetto delle provviste, felice di ciò che aveva acquistato e felice di ciò che aveva in mente di fare. Continuava a sentire fitte al braccio, ma non era importante: per mamma questo ed altro. D'un tratto, mentre camminava lungo la via un po' più affollata del solito, una ragazza gli passò velocemente e fianco e la sua borsa sbattè contro il braccio tatuato: una nuova fitta lo colse e fu come un pugno alla bocca dello stomaco. Si fermò un attimo per ammortizzare il dolore, chiuse gli occhi e all'interno delle sue palpebre gli si stagliò come proiettato il viso della ragazza che lo aveva urtato e di seguito subito un flash: Mamma. L'ho lasciata sola per così tanto. Quel pensiero gli fece più male del braccio. Si voltò, vide la ragazza che era già al fondo della strada e senza pensarci un attimo fece dietrofront cercando di raggiungerla. Lei procedeva veloce e ad un certo punto scomparve dalla sua vista. Temette di averla persa, ma fu sollevato nel rivederla all'interno di una libreria. Entrò senza pensare e si diresse verso di lei.
- Mi scusi Signorina - le disse - non ho potuto fare a meno di notarla e di venirle a parlare. Lei assomiglia moltissimo alla mia amatissima mamma che ho perso pochi mesi fa. Non la voglio importunare, mi perdoni, ma volevo guardarla negli occhi per avere l'illusione di guardare ancora una volta quelli di mia madre -.
La ragazza rimase interdetta. Normalmente uno così lo avrebbe cacciato a male parole, ma quel ragazzo le fece tenerezza. Gli fece un timido sorriso e gli chiese:
- Cos'ha fatto al braccio?- indicando la garza un po' insanguinata.
- Oh, nulla - fece lui - un tatuaggio per ricordare la mia mamma.
- Ma sta sanguinando, non credo che vada bene - disse lei dandogli già un po' più di confidenza e facendo senza saperlo il più grosso errore della sua vita.
- Davvero - continuò lei - la porto da un medico che conosco. Le darà un'occhiata, veloce, poi è un amico e... -
Dario sorrise un po' triste.
- E va bene - rispose - se proprio vuole, signorina...? –
- Fortunata - sorrise lei, dandogli la mano.
- Signorina Fortunata, verrò dal suo medico, ma solo perché lei sia più tranquilla. Prima, però, devo portare queste buone cosette a casa. Passerei un attimo da lì e magari, mentre io appoggio i sacchetti, lei se vuole può salire con me, le offro un tè e... - Una nuova fitta improvvisa gli fermò le parole in gola. Tentò di respirare come prima e ci riuscì con un certo sforzo. - ...le va? - concluse rivolto alla ragazza. Poco dopo, i due si avventuravano per le scale del palazzo. Ascensore rotto, ma due soli piani da fare. Fortunata arrivò sul pianerottolo tranquilla e si fermò ad aspettare Dario. Lui arrivò all'ultimo gradino, faticò a sorriderle ed aprì la porta. La stanza era buia, le serrande abbassate ed un odore forte di chiuso si sentiva tutto attorno. Lei rimase un po' perplessa, ma il duro colpo lo ebbe quando, accesa la luce, si trovò circondata da pareti di foto della stessa donna. Una signora piuttosto anziana dall'aria triste.
- Fortunata, ti presento mamma - commentò Dario con espressione da folle.
- Ah - commentò lei, impaurita per la prima volta, di fronte a ciò che aveva visto.
-Siediti- disse, passando dal lei al tu.
Fortunata notò nel tono una vena autoritaria che la spaventò.
-Forse è meglio andare in ospedale, magari il tè lo possiamo prendere al bar...- disse in un disperato tentativo di uscire da quella casa.
-Ma no, ci vuole un attimo- poi rivolto alla porta che divideva le stanze. -Mammina, abbiamo visite! E' una mia amica, l'ho appena conosciuta.- La ragazza sussultò, il panico che la attraversò come una corrente d'aria fredda. Ma mammina non era morta? Che significava? E poi tutte quelle foto, la casa al buio e... quell'odore che prima non aveva sentito, ma che adesso iniziava a percepire. Le gambe avrebbero voluto scappare, ma qualcosa la incollava al pavimento. Dario entrò nella stanza, sparendo alla sua vista, lasciandosi dietro una serie di goccioline di sangue. Odore di morte, di carne in putrefazione, di macelleria non disinfettata.
-Vieni a salutare mamma- la voce del ragazzo suonava allegra. Aspettò qualche secondo e poi si precipitò verso Fortunata. Gli occhi spiritati, la benda zuppa di sangue.
-Ti... ho... detto... di... venire! Non essere scortese, mamma ci rimane male- la trascinò di peso, afferrandola per i capelli e storcendole un braccio. La stanza era in penombra, un grande letto occupava la parete di fronte e una sagoma umana era sdraiata. L'odore si fece all'improvviso insopportabile. Dario accese la luce, mostrando l'occupante, distesa in mezzo ad un copriletto trapuntato color crema. Mamma era appoggiata contro la testiera del letto, indossava una cuffietta e il corpo sembrava avvolto in una vestaglia rossa, ma non era un indumento: mammina era scorticata e completamente imbrattata di sangue.
La ragazza indietreggiò fino a sbattere contro lo stipite della porta. La testa urtò in modo violento, tanto da ferirle in modo serio la nuca. Fortunata si portò la mano alla ferita accorgendosi che un copioso fiotto di sangue stava già sgorgando dalla parte bassa della testa.
- Sarà meglio che vada adesso, sto male anche io, come te, e ho bisogno di un dottore, anche tua madre ne ha bisogno, e anche tu Dario.- Disse dolcemente Fortunata per paura di una reazione. Dario si voltò di scatto e con foga si avventò su di lei.
- Io non ho bisogno di un dottore. Lo diceva sempre mio padre, quel gran bastardo che ha rovinato la mia vita e anche quella di mamma. L'ha ridotta uno straccio quel maiale. Se piangevo lui diceva che mi avrebbe mandato al manicomio, se avevo la febbre ugualmente, se litigavo con un amico dovevo essere internato. Un dottore per ogni cosa, per ogni cazzo di cosa che vive, per ogni persona sulla faccia della terra. Io sto bene e anche la mamma sta bene, tu non starai più bene invece!-
Con questa frase prese l'attizzatoio accanto al camino e lo infilzò con una forza inaudita nella pancia della donna che cadde in ginocchio, guardando con gli occhi del terrore il suo assassino. Dario sfilò l’attizzatoio dal corpo della povera Fortunata e lo lasciò cadere via. Il corpo della giovane si accasciò senza vita sullo sporco tappeto del salotto. Dario corse in cucina, era felice, preparò il gustoso pranzo che aveva promesso di fare a sua madre. Preparò le posate più belle, la tovaglia da tavolo con le margherite, accese la televisione con il programma preferito di sua madre, e poi corse in camera. Chiamò una, due, tre volte a grande voce. Le chiese di mangiare insieme a lui, disse a sua madre che se non fosse venuta avrebbe gettato tutto nella pattumiera e non avrebbe mangiato neppure lui. Il cadavere dell'anziana giaceva ovviamente nel letto, senza proferir parola. Dario iniziò ad urlare, corse in cucina e con un calcio spezzò il tavolo.
Tornò al corpo dilaniato della ragazza. Iniziò a colpirlo con calci sempre più forti, fino a quando la sua sete di vendetta si placò, almeno temporaneamente. Con sguardo interrogativo si avvicinò a Fortunata, scostandole con delicatezza i capelli incrostati di sangue che le coprivano il volto tumefatto. La accarezzò con gentilezza, ripulendole le gocce di sangue sulle palpebre.
-Sei proprio uguale a mamma, lo sai credo di amarti. Mammina oggi fa la schizzinosa, vorrà dire che sarai tu la mia ospite a cena-.
Sollevò il corpo della donna, molle come una bambola di pezza, la accomodò sulla seggiola legandola con uno spago e le piazzò sotto il volto una ciotola di zuppa di piselli.
-Ora vivrai sempre con noi. Io, te e mammina. Poi con calma ti ripulirò, vedrai sarà un bel lavoretto-. Dario si eccitò pensando al corpo inerme di Fortunata disteso sul letto.
-Ci sposeremo ed avremo dei figli-.Una fitta gli percorse il braccio che si stava gonfiando sempre di più.Il tatuaggio aveva provocato delle grosse escoriazioni che gli procuravano dolorose fitte sempre più frequenti. Si tolse e la benda insanguinata ed estasiato lo contemplò.
- Domani andrò dal tatuatore e mi farò imprimere il tuo nome.Voi, i miei amori più grandi sempre con me. Si avviò in cucina, turbato per lo scarso appetito di Fortunata ed iniziò a ripulire gli strumenti da chirurgo. Con calma avrebbe reciso ogni piccola parte del corpo delicato e sensuale della sua donna.
Certo che però queste donne. Non ce n'era una giusta. Mamma non voleva mangiare e Fortunata non aveva dimostrato grande interesse per il suo manicaretto. Che disastro. I pensieri si accavallavano nella sua mente come lettere dell'alfabeto buttate a caso dentro una scatola. Contento del lavoro che stava per fare, scontento del comportamento delle due donne, sentì squillare il campanello. Quel suono ebbe la capacità di impietrirlo. Spalancò gli occhi mentre dentro di lui un tumulto di terrore prese a crescere e a scuoterlo come un uragano. Chi poteva essere? Lui non aspettava nessuno. Mamma era a letto già da un po', Fortunata era lì con lui. Chi poteva essere? Il campanello trillò nuovamente ed insieme una voce chiamò il suo nome:
- Dario, Dario, sono Vincenzo,il suo vicino . Che succede? Ho sentito dei rumori e delle voci. Dario, tutto bene? - Sentir chiamare il suo nome ebbe l'effetto di scuoterlo dall'immobilismo in cui era crollato. Si alzò e guardò la porta, incerto se aprire o no. Dieci secondi e stavolta il vicino battè alcuni colpi sulla porta che suscitarono in Dario un enorme fastidio . Senza rispondere rimase a fissare la porta e d'impulso decise che avrebbe aperto.
- Tutto bene Vincenzo, le voci venivano dal televisore. Sa, quei programmi cretini. Ho subito spento - ma Vincenzo, benchè Dario avesse aperto solo un piccolo spiraglio, cercò di sbirciare oltre le sue spalle e questo lo fece infuriare. Brutalmente spalancò la porta e Vincenzo vide Fortunata senza vita legata alla seggiola e forte gli giunse alle narici l'odore di morte misto all'odore della cena. Un conato di vomito lo colse ed in quel momento Dario lo afferrò per la giacca e gli diede uno strattone che lo fece andare lungo e disteso sul pavimento del salotto. Aveva gli occhi fuori dalle orbite dal terrore.
- Beh, che hai adesso? Non volevi sapere se andasse tutto bene? Certo che va tutto bene! Io e Fortunata stavamo cenando - .
Il poveretto, settantadue anni e una salute non proprio di ferro, sentì scricchiolare qualcosa alla base del femore; dapprima un dolore sordo, che poi esplose in una serie di aghi conficcati nella carne, tutti allo stesso momento. Sentì di essere spacciato, in balia di quel ragazzo che un tempo andava a giocare a casa sua con Paolo, suo figlio.
-Dario... aiuto!...- mormorò, la testa in preda ad un giramento strano. Era iperteso, diabetico ed emozioni come quella lo potevano uccidere. E poi quel dolore, sempre più forte.
-Vincenzo, ma certo che ti aiuto, aspetta- e sparì in cucina, per poi tornare con un grosso coltello affilato.
-Mettiti calmo e chiudi gli occhi, ci vorrà un attimo.-
La vista di quella lama fece pulsare le tempie all'anziano, in maniera talmente insopportabile che perse quasi subito i sensi. Dario si avvicinò alla tv, pigiò i tasti del telecomando e sintonizzò il canale Deejay television.
-Non ti dispiace, vero- chiese rivolgendosi a Fortunata e baciandole i capelli impregnati di sangue.
-Magari preferivi la Prova del cuoco con la Clerici, o DMax- si portò verso Vincenzo e lo sollevò di peso, lasciandolo cadere sulla poltrona. Il corpo si adagiò, come un fantoccio; Dario prese dal bagno un catino, quindi lo mise in grembo all'uomo. Afferrò le mani e le introdusse nel contenitore, quindi con un taglio netto tranciò i polsi, rimanendo ad osservare estasiato il sangue fluire. Era felice, appagato da tanta compagnia, ma anche infastidito. Quel cazzo di tatuaggio lo stava facendo soffrire. Lo osservò, era gonfio e di un colore rosso acceso, inoltre dall'ultima "a" di mamma fuoriusciva del siero, quasi come una lacrima. "Fanculo" pensò, e immerse il tatuaggio nel sangue del catino.
Non si rese conto subito di cosa stesse succedendo, era come se dentro di lui ad un tratto la coscienza si fosse afflosciata, finendo a terra in migliaia di piccole schegge. Visioni, dolore, la testa che gli pulsava sino a fargli male. Aveva la febbre, di sicuro molto alta, e si trovava circondato da morti. Fortunata, il viso tumefatto, con le labbra socchiuse in un macabro sorriso; Vincenzo, il viso pallido, con in grembo un catino pieno di sangue rosso vivo; la mamma, oh la sua mammina, che riposava nella penombra della stanza. Si girò su un fianco, andò a sbattere contro il tavolo, ricevendo un colpo in un occhio dalla scarpa di Fortunata. Provò a mettersi seduto, ma quando poggiò il braccio con il tatuaggio a terra ricevette una scossa che lo fece rimanere senza respiro. La stanza fluttuava, tutto non aveva senso, solo una gran nausea. Guardò il braccio, cercando di metterlo a fuoco: mamma, ti amO... una O grande come un pallone, gonfia e attraversata da chiazze scure che si irradiavano sino alla base del polso.
-Stai per morire- era la voce della mamma.
-Ragazzo mio, ti ho detto mille volte che devi essere più pulito ed ordinato. E poi, un tatuaggio! Ti vedesse tuo padre!- -Fanculo...- rantolò Dario.
-Eh no, non si risponde così alla mamma!- Vincenzo lo stava rimproverando. Ma che cazzo c'entrava quel vecchiaccio? Allungò la mano per afferrargli i pantaloni, trovò la stoffa, tirò e di colpo si sentì inondare dal sangue. Era zuppo, puzzolente e con la febbre che galoppava. L'infezione gli stava procurando allucinazioni, ma Dario sentì di essere felice: era circondato dai suoi cari.
-Scusa mamma, lo sai che ti amo...- mormorò, e chiuse gli occhi, perdendo conoscenza.
Tre giorni dopo i vicini allarmati dall'odore chiamarono i Carabineri e l'appartamento venne aperto da una squadra di Vigili del Fuoco. Lo spettacolo che si trovarono davanti ebbe l'effetto di procurare un malore ad uno di loro. Sebbene fossero abituati a tutto, l'essere piombati in un reparto macelleria fu qualcosa che rimase impresso a fuoco nelle loro menti. Dopo toccò alla Scientifica, che impiegò mezza giornata ad eseguire i rilevamenti. C'era tanto di quel sangue mischiato che mise a dura prova gli agenti. Il medico legale, chiamato sul posto nonostante fosse in procinto di eseguire un'autopsia, reputò di astenersi dal dare una spiegazione ai fatti. Due donne e due uomini morti in modo macabro e inspiegabile.
-Di sicuro il più anziano per dissanguamento, mentre il ragazzo in seguito ad un'infezione provocata dal tatuaggio. Questi benedetti giovani, non sanno a che vanno incontro. Tatuatori inventati che usano attrezzi non sterilizzati, e questa è la conseguenza- l'interlocutore annuì.
-L'anziana, sul letto è stata soffocata, quindi su di lei l'assassino è intervenuto con una lama affilata, provocandole lacerazioni e scorticazioni. La ragazza invece è stata infilzata presumibilmente con l'attizzatoio che c'è qui e poi percossa in modo assolutamente brutale. Ho potuto constatare la rottura e sfondamento della sutura lambdoidea, oltre alla frattura dell'osso zigomatico. Mi riservo di dare informazioni più dettagliate una volta eseguita l'autopsia, anche se presumo sia morta a causa di emorragie interne.- Francicco Strascisa, il medico legale, salutò e si allontanò, lasciando dubbiosa la sua collega Cleo Patrasso, che iniziò ad eseguire una serie di scatti con la fotocamera. Voci provenienti dall'ingresso la fecero voltare
-Che succede qui?- Ferrario allungò la testa e fissò prima la scena, quindi la Patrasso-
-Un macello, capo. Ma sono sicura che non ci sarà bisogno di grandi indagini.-