L'imprevisto

17.10.2015 21:30

 

- Con la partecipazione di Chrisma -

 

Il vero nome del "Grande Maximilian" era Max Ferris. Lui era un intrattenitore di folle, aveva una gran massa di capelli scuri; in pubblico parlava sempre con un accento preso in prestito da un suo amico lanciatore di coltelli messicano, ma in privato era americano dalla testa ai piedi. Però era un tipo che non entrava in intimità con nessuno. Spesso di umore cupo, e diffidente per natura, metteva via i suoi risparmi in cassette di sicurezza sotto nomi diversi.

Era un uomo parecchio alto, aveva una corporatura scolpita e robusta e una forza inaudita, specialmente con le dita. Malgrado l' imponenza, godeva pure dell'agilità di un felino. Si vantava che non esistevano lucchetti da cui non potesse liberarsi; eppure non diventò il Grande Maximilian e non conobbe la ricchezza finché non incontrò la scaltrissima Naddy Finnot che possedeva, oltre ad una intelligenza superiore, ciò che serviva per entrare nel Gotha dei grandi illusionisti. Per esempio le bastava vedere una chiave per farne poi un duplicato a memoria. Nei loro spostamenti di lavoro si portavano dietro un piccolo tornio e una macchinetta per sagomare le chiavi. Già un'ora dopo ogni conferenza preliminare sulla "fuga" che aveva accettato di tentare in quell'occasione, Maximilian disponeva già di un duplicato della chiave di cui aveva bisogno per aprire il lucchetto che lo imprigionava.
Era molto coraggioso. Serviva fegato per lasciarsi mettere una camicia di forza, farsi infilare in un sacco per posta sigillato con un grande lucchetto, lasciarsi rinchiudere in un baule col coperchio inchiodato e legato, e poi farsi calare nelle acque del fiume.

La mattina del 17 luglio di quell'estate che tutti ricordarono negli anni a venire la più calda del secolo, Max insieme a Naddy percorrevano la strada assolata di Richmond City a bordo del carro che fungeva da casa e teatro ambulante. Erano tre anni che la coppia stava insieme, anche se tra loro esisteva solo un rapporto di lavoro. Non che fossero indifferenti uno all'altro, ma a parere di Naddy mischiare i sentimenti col lavoro avrebbe portato al fallimento della società. Max si era trovato d'accordo: meno complicazioni e la libertà di scivolare la sera in qualche saloon senza rimorsi sulla coscienza. Il passaggio fu osservato da parecchia gente, tutti al riparo in casa o sotto ai porticati, dove il sole risparmiava i corpi sudati.

- Quello deve essere Al Amady, il nostro contatto in città - disse Max puntando il dito verso un sorridente uomo vestito in modo leggero e con calcato in testa un grosso cappello in cuoio Stetson. Il tipo alzò il braccio in segno di saluto e poi fece segno di seguirlo all'interno di un vicolo che divideva la fila di case.
- Un bell'uomo...- commentò Naddy, osservandolo di schiena. Max sorrise e guidò i cavalli sino a raggiungere uno spiazzo erboso.
- Mr. Ferris è un vero piacere - la stretta dell'uomo era vigorosa, ma allo stesso tempo delicata. 

- Non sa quanto mi ha fatto felice sapere della sua venuta. Come le ho detto tramite telegrafo mi chiamo Al Amady e sono il proprietario del saloon e del teatro di Richmond. La sua fama è talmente estesa che appena ho riferito al Sindaco della mia idea di farla venire, si è dimostrato entusiasta.-
Max scese dal carro e si sgranchì la schiena dolorante. Naddy porse la mano, maliziosa.

Al fece strada e, porgendo il braccio a Naddy, li accompagnò all'interno del saloon, dove a quell'ora di pomeriggio inoltrato il locale pullulava di gente che pigramente giocava a carte o beveva appoggiato alle pareti in legno. Il calore micidiale impediva a chiunque di essere attivo, nemmeno le ragazze, notoriamente famose per la loro esuberanza, parevano essere attratte dai presenti. Solo una, all'entrata di Max, lanciò uno sguardo incuriosito, si mise in piedi e li raggiunse.

- Vi presento mia sorella Pauline - allungò la mano e Max provò un brivido al contatto. Quel viso gli ricordava qualcuno, una fisionomia persa nella memoria, un sorriso che aprì in lui un vortice di domande senza risposte.
- Pauline, è un vero piacere conoscervi - Ferris si chinò per il baciamano, ma quando vide l'anello al dito della donna rimase folgorato. Quell'intreccio di felci, con all'interno una pietra incastonata, apparteneva un tempo alla sua ex moglie.

- Ma, ma... voi siete...-
Pauline esplose in una risata, che fece voltare molte teste.
- Pensavo che vi ricordaste subito di me - disse maliziosa. - Eppure non sono passati così tanti anni, direi al massimo cinque. -
Al Amady e Naddy osservarono curiosi lo scambio di battute; i due si conoscevano e, a ragione di quanto Max fosse in difficoltà, piuttosto bene.
- Vi ho voluto io qui a Richmond, anche se mio fratello non sa nulla. E quindi è doverosa una spiegazione: Max cinque anni fa era sposato, con una donna perfida e avida. Una sera ci incontrammo a Seattle, dopo lo spettacolo, mi offrì da bere, e accettai la sua proposta...-

Tutti rimasero silenziosi, pendendo dalle labbra della giovane Pauline. Naddy guardava con attenzione il suo sguardo rimbalzare nelle iridi scure di Max che, generosamente, glielo restituiva, più curioso.

- Ci recammo nel vecchio Redfeather, nell'angolo tra Main Street e Park Avenue, e lì ci conoscemmo meglio - disse la ragazza. Il sorriso che fece Max attestò il passaggio di ricordi piacevoli legati a quell'avvenimento. E Naddy sembrò leggermente turbata dalla cosa.
- Sei riuscita a parlare con lui per più di venti minuti? Incredibile! -.
- Effettivamente non era un tipo di molte parole... -.
- Non è cambiato, tranquilla - concluse la bionda, effettuando come una puntura. Max inarcò il sopracciglio sinistro, ammonendola con lo sguardo e facendo poi un cenno a Pauline di proseguire col racconto.
- Beh, insomma, parlammo, parlammo per più di tre ore e la luna era già bella che alta nel cielo quando uscimmo per strada. E lui, da galantuomo, s'offrì d'accompagnarmi a casa -. Si voltò poi verso suo fratello. 

- Ricordi, Al, la casa in cui vivevamo a Seattle? Quella con le finestre grandi e le tende azzurre; ebbene, proprio davanti casa, Max si abbassa per baciarmi la mano, ed appare sua moglie, proprio dietro di noi -.
Un sussulto generale si sollevò in aria, come il fumo che proveniva dalle molteplici sigarette, appese alle stanche labbra dei presenti nel saloon. Max s'appropriò per la prima volta del discorso.
- Quello che fece mia moglie mi sconvolge ancora oggi... -.

- Sconvolge...te???!!!! - esclamò Pauline con aria piuttosto risentita e alzando di qualche decibel il tono della voce 

- E cosa dovrei dire io? Io che mi sono presa uno schiaffo in pieno viso, e quella serie di vituperi irripetibili. E che, quando stavo per replicare, superato lo choc dell'aggressione, lei si è voltata, è salita sulla sua carrozza ed è scomparsa - disse tutto d'un fiato. 

- E ricordi anche cosa disse? - chiese Max piuttosto a disagio.

 - Certo - rispose Pauline  - disse che non l'avresti rivista mai più. E con lei tutto il suo patrimonio.- 

- Proprio così - disse Max, rivolgendosi ad Al e Naddy, che ascoltavano increduli  - e da allora per me fu sempre più dura trovare i soldi per i miei spettacoli. Pauline mi rimase vicina in quel periodo e, segretamente, per non rischiare la sua incolumità se mia moglie l'avesse saputo, ci sposammo. E fummo anche abbastanza felici, credo - nell'ultima affermazione l'uomo aveva esitato, cercando una qualche conferma nel viso di Pauline-

- E' vero- rispose lei assumendo un tono più dolce.  

- Ma, dopo qualche tempo, ti sorpresi ad amoreggiare con un altro! - aggiunse inaspettatamente Max.

- E tu, gelosone mio, non riuscisti a sopportarlo! - rise Pauline, niente affatto turbata da quella rivelazione. Max avrebbe voluto chiedere di più, ma si trattenne. Così fece anche Al. 

- Poco dopo ho incontrato Naddy - continuò Max  - l'artefice della mia fortuna! - aggiunse sorridendo. Naddy rispose al sorriso, felice di tornare al centro dell'attenzione. 

- Che dire? -  disse Al Amady  - Una serie di sconcertanti rivelazioni! Ma ora mettetevi comodi, prendiamo da bere e parliamo dello spettacolo che dovrete tenere qui. Come ho già detto, sono anche il proprietario del teatro - e facendoli accomodare ad un tavolino del saloon, con uno schiocco di dita chiamò il cameriere ordinando whisky e bourbon. Naddy notò, seccatissima, che Max non smetteva di fissare Pauline. Che rabbia! 

Non ci volle molto per organizzare la rappresentazione, anche grazie alle conoscenze di Al in paese. Ogni cosa elencata da Max veniva ordinata e fatta trovare nel piazzale destinato allo spettacolo. Questa volta voleva fare le cose in grande, ancor di più perchè Pauline era lì con lui.

Naddy rimase in disparte per tutto il giorno, rispondendo a monosillabi, arrivando persino a sbuffare ogni volta che Al le si rivolgeva galante. Era turbata, sconvolta dalla rivelazione del matrimonio, incredula che Max avesse fatto il finto tonto, cadendo dalle nuvole e dicendo che non si ricordava di lei. Tra tanti posti che l'immensa America aveva da offrire, perchè proprio Richmond City? Certo, per via di Pauline, che era riuscita ad organizzare tutto. E poi c'era quell'anello, appartenuto alla moglie...
- Catene e lucchetti? - la distolse Max.
-Tutto a posto; che è, mi hai preso per una dilettante? -
- Si può sapere che hai? - Max lasciò cadere a terra un rotolo di corda che serviva per il numero in cui si faceva calare legato a testa in giù in una vasca d'acqua.
- Io niente, tu piuttosto. Non ti ho mai visto così... così... falso! Perchè quella pantomima sul fatto di non ricordarti di lei? Sei famoso per la tua memoria fotografica, non vedo perchè ti sia inventato una cosa del genere! -
Max le prese la mano, calda e tremante; non aveva mai visto Naddy così furiosa e gli dispiacque. Meritava di sapere la verità, glielo doveva, era la sua compagna, colei che lo seguiva.
- Non c'è mai stato nulla tra me e Pauline. Mi è solo servita quella sera per far ingelosire mia moglie. Per ripagarla le ho donato l'anello, che lei mi aveva lanciato contro.-

- Va bene, come vuoi - rispose Naddy piccata - ma questo racconto è un po' macchinoso per essere troppo credibile -

- Ascolta... -
- No, no, tutto a posto -
Ecco. Quando lei rispondeva così, con quel tono, Max cominciava a sudare. Perché Naddy non era certo un'avventura da mago superstar in cerca di divertimento, lei era... eh, cavolo, se era.
Si sentì in ansia per tutto il tempo in cui sistemavano trucchi, corde e cristalli.
La sera cominciava a calare sul paese ed il sole e l'aria diventavano rossi tra gli edifici ed i pali del telegrafo. Un tramonto frastagliato, venato di cavi ed inquieto, più o meno come si sentivano loro. Naddy non aveva quasi più parlato per tutto il tempo, salvo un mezzo sorrisino forzato ogni tanto.
- Caro, caro Max - esordì Al Amady entrando nel piazzale - Come procedono i preparativi? Occhio che qui, tra poco, il pubblico si accalcherà in attesa del "Grande Maximilian". Occhio alla penna, eh? -
Nel sentirsi chiamare 'caro', Max Ferris si scocciò non poco. Prese un paio di catene e le buttò ai piedi di Al.
- Se non ti dispiace, ci dai una mano con il lavoro? Queste vanno dietro la grande teca di vetro -
Al non si scompose e le raccolse.
- Quella da riempire d'acqua? - chiese
- Sì, quella, sì - rispose sbrigativa Naddy - Se vuol essere così gentile... -

Il piazzale si riempì di una folla gremita, tutti erano accorsi ad assistere alle prodezze del grande Maximilian. Chi aveva avuto la fortuna di assistere in altri paesi alle sue magie non aveva più scordato l'ansia e la gioia di quello spettacolo. Grandi e bambini avevano preso posto nei punti migliori della piazza. Tante erano le illusioni che gli riuscivano alla perfezione, quella delle manette, quella della camicia di forza o quella del taglio di un arto, ma la sua illusione preferita era quella del baule. Al Amady si fece avanti sul piccolo palco allestito: - Signori e signore, il grande Maximilian si esibirà nel suo numero più grande. La sfida del Baule, le Metamorfosi. Le sue mani e le sue gambe saranno legate con queste catene, il suo corpo rinchiuso in un sacco, e poi messo in un baule. E per testimoniare la grandezza di quest'uomo il baule sarà lasciato cadere in una teca di vetro alta cinque metri - concluse Al Amady. 

- Pronta? - chiese Maximilian a Naddy perchè il trucco riusciva solo se quando il baule veniva aperto era l'assistente ad uscire da lì e non l'illusionista già libero e in piedi lì accanto. 

- Come sempre..- Rispose Naddy imbronciata. 

- Dammi la chiave, e tieniti pronta a prendere il mio posto quando il telo sarà calato sulla teca - rispose Maximilian. 

Naddy infilò le mani nelle tasche in cerca della chiave che avrebbe aperto il vano posteriore truccato del baule. Era certa che la chiave giusta fosse quella con il laccio rosso, ma presa dalla rabbia consegnò a Maximilian quella col nastro verde. - Buona fortuna - Disse Naddy. L'uomo fu sorpreso, non aveva mai sentito un tale augurio dalla sua compagna di giochi, eppure le sorrise mettendo la chiave nascosta tra la lingua. L'uomo fu messo nel baule e calato nella teca d'acqua gelida. Pauline guardava quel vetro con gli occhi dell'amore, Naddy con gli occhi di chi sta per godere.

Nonostante i recenti giorni caldi, quella era di sicuro una giornata fredda, ventosa e senza sole. Una sottile pellicola ghiacciata galleggiava visibilmente sul fiume. Ma malgrado il cattivo tempo, oltre al piazzale, anche la banchina e molti pontili circostanti erano affollatissimi.

Tutti fissavano il punto preciso da cui l'illusionista doveva riemergere. Non accadde nulla. Passarono i primi 15 minuti, poi venti. Dopo trenta minuti, il responsabile della squadra fluviale arrivò sul posto e prese ad impartire istruzioni al galleggiante che doveva prendere a bordo Maximilian quando sarebbe risalito alla superficie. Nessuna traccia. Nessun corpo. Niente di niente. Ad un tratto, si intravide una sagoma. Era lo sceriffo che gli andava incontro con la camicia di forza ed un sorriso maligno e soddisfatto dipinto in volto. Naddy era in prima fila, il viso rigato dalle lacrime e lo sguardo terrorizzato, fisso sulla camicia di forza.
Dietro di lei si materializzò Max che le sussurrò sommessamente: - mi sono accorto subito che le maniche avevano qualcosa di diverso mia cara. Questa camicia di forza è stata modificata. Sulla fodera delle maniche c'era un piccolo rammendo con cucite minuscole stringidita di spago intrecciato. Quanto più uno tira per liberarsene, tanto più imprigionano le dita. Il solo modo per salvarsi era spingere e sfondarli. Sarei certamente morto. Ero d'accordo con lo sceriffo su tutta la messinscena . -
Quando Naddy si accorse di essere stata scoperta, i suoi occhi diventarono due fessure, ma riuscì a dire: - Sei il grande Maximilian no? Metti la camicia... "quella camicia". Fai vedere a tutti chi sei e che non hai bisogno di me!-

Il pubblico smise di mormorare, rapito dalla scena che pareva tratta da una commedia. Il grande Maximilian che aveva rischiato di morire per mano dell'assistente, lo sceriffo che era intervenuto grazie alla soffiata di lui. Pauline  corse verso Max e lo abbracciò, affondando la testa nel suo petto. Rimase spiazzato e confuso, gli occhi fisi in quelli di Naddy.

- Perchè?...- chiese ad un tratto, senza ricambiare l'abbraccio di Pauline.
- Mi chiedi perchè? Dopo tutti questi anni? Io, l'insignificante assistente che vive nell'ombra, colei che ha mollato tutto per seguirti e che si strugge quando ti vede entrare in un saloon pieno di ragazze. Quella che aspetta da sempre un sorriso, una carezza, una frase gentile. Ma tu no! Il grande Max, l'uomo tutto d'un pezzo! Dai per scontate troppe cose... mi dai per scontata...-
-Ma sei stata tu a non volere... relazioni. Non puoi farmene una colpa...-
Lo sceriffo si avvicinò a Naddy con in mano le manette, il viso triste, non scuro come se lo aspettava. Sembrava quasi che facesse fatica a compiere il proprio lavoro.
- Oh Max, ti... amo - la frase, pronunciata dalle labbra di Pauline lo infastidì, procurò nella sua mente una bruciatura che lo spinse a ritrarsi. Osservò i braccialetti di metallo chiudersi sui polsi di Naddy e una stretta allo stomaco gli provocò nausea. Lo aveva quasi ucciso, ma in quel momento non gli importava, era triste per lei, voleva solo che quella storia si risolvesse in fretta. Lo sceriffo iniziò a recitare i diritti, mentre con fare stanco la accompagnava verso la cella.
- Sei un bastardo, Max! - si sentì gridare dal pubblico. Una voce tra le tante, che produsse un uragano, scatenando rabbia nei suoi confronti. Al afferrò Pauline per mano e la spinse veso il saloon, lasciando il grande Maximilian in balia degli eventi.

Lo sceriffo portò via una Naddy che non opponeva alcuna resistenza. Mentre lo sceriffo la conduceva via, lei camminava tenendo lo sguardo offuscato dalle lacrime fisso al suolo. Solo al momento di svoltare nella strada che l'avrebbe portata alla prigione, si voltò indietro per dare un'ultimo sguardo al compagno di centinaia di avventure, conscia del fatto che forse quella sarebbe stata l'ultima volta che lo vedeva.

Maximilian, sordo alle grida del pubblico, guardò l'assistente allontanarsi e non staccò gli occhi da lei finchè non sparì dalla sua vista, dentro solo un grande vuoto ed il rammarico di non aver capito proprio la persona che gli stava più vicino e quella a cui forse teneva di più.
- Muoviti grande Maximilian, cosa aspetti? Facci vedere quanto vali! O adesso che non hai più un'assistente non sai da che parte iniziare? - gridò una donna con aria di sfida.
- Sì, grande Maximilian, facci vedere di cosa sei capace, SE sei capace! - tuonò una voce maschile.
- Datti una scossa, Big, abbiamo pagato per vedere le tue prodezze! - tuonò un'altra voce maschile e molte altre fecero eco a queste.
Maximilian spostava lo sguardo ora da una parte ed ora dall'altra a seconda di dove provenivano le voci, ma tutte gli si confondevano nel cervello come grida indistinte che gli percuotevano le tempie.
Doveva esibirsi. Del resto il grande era lui. Senza Naddy però nulla era possibile, non senza il suo aiuto, non senza la sua capacità con le chiavi. Come aveva potuto tentare davvero di ucciderlo? E cosa si sarebbe inventato ora ?

"e va bene..." pensò Max "...è giusto così, forse. Che io vada incontro al mio destino senza di lei e... oh, cavolo, perché l'ho fatto? Anzi, perché non l'ho fatto? E' inutile, questo pensiero, adesso, ormai devo fare lo spettacolo e basta. Avanti"

Il Grande Maximilian fece un cenno ad Al, lo fece andare sul palco, si fece incatenare e mettere nella grande cassa. Doveva rifare il numero senza di lei per provare di essere un vero fenomeno. Fu chiuso dentro, il grande tendone lo coprì ed il brusio del pubblico aumentò. Qualcuno sperava che lui non ne uscisse vivo, forse. Era la giusta espiazione per ciò che aveva fatto, secondo loro.
Max si trovò sott'acqua, là dentro, nella penombra della profondità. Si guardò attorno con l'intenzione di aspettare che la natura facesse il proprio corso, che l'acqua gli entrasse nei polmoni con quel dolore che provoca e che lui ricordava bene, gli era già successo facendo un bagno nel fiume, da bambino. Col tempo, però, l'istinto di sopravvivenza gli pompava nelle vene e nel cuore una forza impaurita. Nella penombra la vide: la chiave di scorta sul fondo della cassa. C'era un biglietto attaccato: "Ti odio, ma lo faccio perché ti amo. Idiota. Salvati"
Max prese al volo la chiave, si liberò, aprì il fondo della cassa giusto in tempo per uscire da sotto il palco con ancora un po' di aria. Salì sul palco, arrivò dietro ad Al e il boato del pubblico si sentì fino al pase vicino. Pauline svenne e Naddy, dalla prigione, sorrise. Era lui, il nuovo eroe, tutto era dimenticato. Panem et circenses. Il pubblico voleva solo quel giudizio divino, come lo voleva dai tempi del medio evo e forse prima. Max, acclamato e portato in trionfo, si divincolò. Al avrebbe giurato che le sue lacrime non fossero dovute alla gioia, ma ad un rimpianto.