La prima volta

27.01.2015 20:35
Con la collaborazione di Massimo Ferraris
 
La prima volta che l'ho vista era un po' di stratta, teneva in mano una bottiglia di birra ma con gli occhi controllava la giacca, era seduta al bar, un vestitino rosso molto provocante tanto che le sue toniche si vedevano perfettamente, gambe così lunghe che il tacco alto era quasi invisibile, la giacca era di pelle, sembrava una tipa tosta, una da motocicletta.
Mi avvicinai a prendere un caffè a quel corpo incantevole, leggermente olivastro, capelli ricci scuri, il suo viso era raggiante, due occhi grandi e marroni, le sorrisi e mi sorrise.
Un sorriso che così splendente non l'avevo mai visto prima.
La prima volta che la vidi già me ne innamorai. Donna si chiamava fu l'unica cosa che riuscii a strapparle da un timido "Ciao, come ti chiami?Vieni spesso qui?" era in compagnia di un motociclista riccioluto molto più grande di noi.
Andarono via in un lampo, mi ritrovai nuovamente solo al bancone del bar.
Chiesi a Franco:- Conosci Donna?
- Lascia perdere Ste' 
- Perché? - domandai
- Sta con Peter, meglio non immischiarsi!
- Ma ti stavo solo domandando se la conosci
- Si la conosco, non saresti il suo tipo. Guardati!
- Peccato, è proprio una bella ragazza - risposi tornando a bere la mia bionda.
La prima volta che le parlai era ero nuovamente lì, ed era nuovamente lì anche lei.​
Nuovamente al bancone con la sua giacca di pelle, una magliettina bianca e un pantalone aderente sul grigio. 
- Ciao Donna, sono Stefano poi l'altra sera non ho fatto in tempo a presentarmi.
- Si mi ricordo di te.
- Bene, vedo che ti piacciono le moto.
- Ah si le adoro.
- Anche io, ho un harley che ho comprato con i miei ultimi risparmi. 
- Cosa fai nella vita ?
- Io, seleziono personale per delle aziende. Tu?
- Io mi godo la vita, saltuariamente lavoro in negozio da Peter.
- Chi sarebbe? Il ragazzo dell'altra sera?
- Si, ha un negozio di animali esotici, serpenti, iguane, camaleonti...quella roba li;
- Beh, dai non male, rispetto a incontrare ogni giorno decine di persone che vogliono lavorare per quello o quell'altro e poi si rivelano delle sole...avere una propria attività è sempre meglio.
- Si si, poi molto spesso siamo fuori per qualche mostra, altre volte invece va via per incontrare degli allevatori anche fuori dall'Italia.
- E vai con lui?
- No, io rimango qui. Anzi scambiamoci i numeri magari ci prendiamo una birra qualche sera.
Avevo il suo numero, non mi sembrava vero! Lo fissai a lungo sul display del cellulare, quasi fosse una formula magica, un mantra da recitare all'infinito. Mi accorsi, dopo qualche minuto, di averlo scolpito nella mente, accanto all'immagine del suo viso, quasi fosse un biglietto di contatto. 
-Che hai, sogni?- Franco si era avvicinato, neanche me ne ero accorto.
-Quasi... guarda un po' qui...- gli mostrai il numero.
-E di chi sarebbe?-
-Di Donna, me l'ha dato lei poco fa. Non mi sembra vero...-
-Cancellalo e dimenticala- la sua reazione mi infastidì.
-Sei per caso geloso? Dicevi che non mi avrebbe cagato, invece... mi sa che stai rodendo!-
-Conosco Peter, credimi, è meglio che te a dimentichi se non vuoi finire stritolato da un pitone reale o morsicato da un ragno delle banane. Lui è uno che non scherza e non ama che si invada la sua sfera d'azione.-
Ritenere Donna parte di una proprietà privata mi fece ancora più arrabbiare. Franco era il mio migliore amico, uno a cui avrei donato un braccio per aiutarlo, ma ora mi sembrava una persona nuova, qualcuno che invece di assecondarmi lavorava contro.
-Se mi chiama ci esco- risposi risoluto. -Con o senza il tuo permesso.-
-Fai il cazzo che vuoi, io ti ho avvisato. Poi non venire a piangere...-
-Ma vai affanculo!- gli urlai, andandomene via.
La prima volta che mi chiamò fu quasi strano, il suo nome sul display mi sembrava stregato. Occhi fissi sul telefono e pollice fermo, immobile, prima di far scorrere il tasto verde
- Pro...pronto?
- Ciao Stefano!! sono Donna. Posso disturbarti cinque minuti?
- Oh, ciao Donna, certo! Anche di più.
Rise.
La prima volta che mi rise al telefono fui pieno di gioia, emozionato tornai a parlarle.
- Dimmi tutto!
- Sai Peter non c'è, è fuori per lavoro, mi chiedevo se ti andrebbe di venire con me in un posto.
- Quando? - domandai cercando di non sembrarle troppo eccitato
- Stasera, ci sta un gruppo jazz piano e batteria. Ti andrebbe
Il Jazz non mi entusiasmava moltissimo, ma era la mia occasione per vedere Donna, al di fuori del bar di Franco.
- Certo, ti passo a prendere?
- Lo faresti davvero?
- Se vuoi si!
- E se ti venissi a prendere io?
- Sei sicura?
- Si ho la macchina di Peter, posso farcela, il posto poi non lo conosco bene e averti li con me potrebbe essermi di aiuto. Allora che faccio?
La prima volta in vita mia che indossai qualcosa che non erano i soliti jeans lisi e maglietta a maniche corte fu quella sera. Scomodai mia sorella per cercare di darmi un tono e l'aria di una persona sportiva ma elegante. Marcella mi portò in centro, trascinandomi come un bambino al seguito della mamma. 
-Non preoccuparti, pago io; prendilo come un regalo di compleanno anticipato- mi disse sorniona, gli occhi già persi tra scaffali e ripiani. Io mi sentivo crescere dentro un senso di disagio che cercai di tenere sotto controllo focalizzando tutti i miei pensieri su Donna. Lei era ciò che di più bello avessi mai visto in vita mia e anche se apparteneva ad un altro, questo non mi impediva di provarci. In fondo mi aveva cercato lei, invitandomi al concerto jazz. Mi sarei fatto portare ovunque, anche al Teatro dell'Opera, genere che odiavo all'ennesima potenza.
La prima volta con Donna, io e lei soli, alla faccia di Franco, del suo fottuto bar e dei giudizi da uomo frustrato. Quando mi osservai nel grande specchio del camerino capii che sotto la scorza del trasandato brillava un tipo niente male. Marcella aveva quasi le lacrime agli occhi, quando mi voltai a guardarla e le sorrisi.
-Ti voglio sempre così, d'ora in poi...- mi mormorò con il groppo in gola. Se la serata girava come pensavo la mia trasformazione sarebbe stata totale. Ero euforico, capace di scalare montagne, combattere con i leoni, attraversare il deserto a piedi. 
-Ora manca solo il parrucchiere- Marcella mi passò la mano tra i capelli lunghi e folti. Non potei protestare, il look andava cambiato totalmente e nonostante amassi la mia chioma accettai. Alle sette, come ci eravamo concordati, mi trovai sotto casa in attesa di Donna.
La prima volta che l'ho vista avvicinarsi alla mia auto, una Hyundai Coupe metallizzato, rimasi senza fiato. Indossava un vestitino a fiori e una giacchettina blu. 
Ero nuovamente stregato dalla sua bellezza, che non riuscii a rispondere al saluto. L'unico suono che riuscii ad emettere fu un "huh!"
In macchina ascoltammo, un po' di jazz di Petrucciani, avevo letto su un forum quali fossero i musicisti più apprezzati ed avevo caricato l'ipod.
Notai che a Donna piaceva dati i suoi "bella questa, alza un po'". Avevo fatto centro.
Il locale era un villino in provincia, l'enorme cancello in ferro era aperto, e sulle colonne vi erano attaccati i manifesti della serata. il parcheggio era abbastanza pieno ma, grazie agli occhi vigili di Donna riuscimmo a trovare posto. Ci incamminammo lungo il viale illuminato da piccole fiammelle. L'aria intorno a noi era molto piacevole. Entrati nella sala, presero il mio soprabito e lo misero nel guardaroba. Il maitre ci portò sul terrazzino dove il duo jazz si stava preparando per iniziare il concerto.
- Si prospetta una bella serata, vero? -domandò Donna.
- Certamente lo sarà.
- Guarda il nostro tavolo è lì. Fortuna che ho prenotato.
- Già - ero tremendamente impacciato, sapevo però che con un po' di vino tutto sarebbe cambiato. Avevano disposto i tavoli in maniera semicircolare in modo che tutti gli spettatori potessero vedere il concerto, il nostro tavolo era sul lato destro del terrazzino, era leggermente apparecchiato.
La prima volta che assaggiai il sapore metallico del sangue fu alla fine di quella serata. Era stata un'uscita magnifica, al fianco di Donna e, dopo aver cominciato ad ascoltare, riuscii perfino a digerire il jazz. Mangiammo quasi in silenzio, guardandoci di tanto in tanto. Lei era luminosa e ammirata da tutti
-Ci sono donne che ti divorano con lo sguardo- mi disse ad un tratto. Io posai la forchetta, guardandomi attorno. Tanta gente, bella gente a dirla tutta, una scelta di commensali degni di un concorso di bellezza.
-Dai, non scherzare- risposi, anche se ero lusingato. -Sei tu ad essere la regina della serata. Ogni volta che ascolto il gruppo suonare penso che le note siano tutte dedicate a te- Donna sorrise.
Mi persi in quelle labbra, rosse e carnose, increspate da un lieve sorriso, una bocca fatta per essere baciata, a lungo, con passione. Poi il sorriso si tramutò in una smorfia, all'improvviso. Avevo detto qualcosa di male?
-Santo cielo, Martin!- esclamò, togliendo il tovagliolo dalle gambe e posandolo sul tavolo. -Sta venendo qui, non dire nulla.-
Non dissi nulla, ma mi sentii sollevare da due braccia forti e poi scoprii due paia d'occhi socchiusi e crudeli che mi fissavano.
-Ciao Donna, lui viene con noi. Prego, ci segua senza storie, sarà meglio per lei e per tutti.-
Fluttuai accanto a loro, inconscio, con il cuore in tumulto, raggiungemmo l'uscita, mentre le note si perdevano in lontananza. La bocca mi esplose in un dolore lancinante, caddi a terra, sputando pezzi di labbra tumefatti e sputando sangue.
La prima volta che mi svegliai in ospedale a seguito di un pestaggio dovuto a non so cosa, fui spaventato.
Avevo trattato male qualcuno durante un colloquio di lavoro?
Qualche dipendente si era offeso per delle sospensioni?
Il mio lavoro era proprio quello, fare colloqui e gestire il personale con dei richiami o delle sospensioni a seguito di reclami avuti da terzi.
No, non poteva essere così. Donna aveva detto un nome, Martin. Quell'omaccione di quasi 150 chili mi aveva pestato ben bene, ricordo che mi aveva portato al parcheggio, dentro un'auto ci stava un altro sgherro. Che vedendoci uscì e ci venne incontro.
Ricordo che Donna ci era corsa dietro, e che urlava qualcosa tipo "Fermatevi, basta così" mentre i due mi davano calci e pugni. Quando caddi, la vidi andar via con loro.
La prima volta che incontrai l'ispettore Demarchi, sperai di non essere finito nel mirino di qualche malavitoso. Lui era a capo di una sezione della speciale della guardia di finanza.
- Signor Stante, vero?
- Si mi chiamo così - dissi affaticato
- Da quanto tempo conosce Donna Presta?
- Lei come fa a conoscerci?
- La signora, è la compagna di un nostro sospettato Peter De Biase, supponiamo sia un trafficante di animali esotici provenienti dal resto del mondo e dal nord europa. Lo conosce?
- L'ho visto una sola volta! Perchè? Credete sia stato lui a farmi questo?
La prima volta che mentii lo feci per amore, e lo feci con un ispettore di Polizia, incurante delle conseguenze.
-Io e Donna stiamo insieme, forse lui ha mandato qualcuno a farmela pagare- dissi, mentre gli occhi di lei si riempivano di lacrime.
-Conosce chi l'ha percosso?- domandò Demarchi a Donna. Come poteva non conoscerlo, era il braccio destro di Peter. Annuì, la testa bassa e un singhiozzo che le fece tremare i capelli. Fu portata via in auto, mentre io venni adagiato su una barella e trasportato via da un'ambulanza silenziosa. La faccia mi faceva male, ma ancora di più il cuore. Mi vennero in mente le parole di Franco, il suo modo burbero di pronunciare le parole, ma anche la paura che potesse accadermi qualcosa. Dovetti lottare con il milite, ma alla fine mi fu permesso di prendere il cellulare, con il quale mandai un sms al mio amico. "Sono al Pronto Soccorso", scrissi. Non so perchè lo feci, forse per rispetto nei suoi confronti, o forse perchè era l'unica persona cara che conoscessi. Quando finii di essere medicato lo trovai ad attendermi in sala d'aspetto, il viso triste e preoccupato.
-Me l'avevi detto- non gli diedi nemmeno il tempo di salutarmi. Lui annuì e mi strinse le spalle, accompagnandomi all'auto. Raccontai a stento l'episodio, la bocca mi faceva male, mentre lui in silenzio ascoltava. Si accese una sigaretta, ma non me ne offrì. La strada era deserta, come la mia testa in quel momento, piena di paura, e apprensione. Donna era un luogo proibito, il limite invalicabile dietro il quale avrei potuto trovare anche la morte. Presi il cellulare, cercai il suo numero e lo cancellai dalla rubrica.
La prima volta che parlai a Peter mi alzai di scatto dallo sgabello del bar, Franco scavalcò il bancone con un balzo e si contrappose fra me e lui. Peter, un uomo sulla cinquantina, con i suoi capelli ricci e corti, con quei suoi occhi blu che quasi mi stavano scrutando l'anima, si avvicinò.
- Pete! Ti avevo detto di non venire più qui!
- Lo so Franco, lo so. Volevo solo scusarmi di quanto è accaduto!
- Cosa? - domandai allarmato.
- Si, i miei uomini hanno agito male, avevo soltanto detto loro di spaventarti, non di picchiarti a sangue, dovevano dirti di lasciare la mia ragazza in pace. Scusami se sono stati così avventati.
- Avventato è prendere questo bicchiere e spaccartelo addosso! - Gridai prendendo la mia pinta.
- Devi uscire di qui o chiamo la polizia! - intervenne Franco.
- Vado via, vado via non c'è bisogno di urlare. Io e Donna ci siamo lasciati, da quella sera non mi parla più, non vuole avere nulla a che fare con me. Credo abbia cambiato casa o città.
- E quindi? Cosa vuoi ancora? Porto ancora i segni del tuo pestaggio. - dissi toccandomi il viso.
- Sai non è facile per me, un uomo della mia età, divorziato, con dei figli, piacere ad una ragazza del genere. Però provavo qualcosa per lei, mi faceva sentire ancora vivo. Capisci cosa intendo? Una ragazza del genere non si trova così facilmente. Avevo paura di perderla ed ho aggredito un uomo che nemmeno conoscevo. L'ho persa comunque.
- Capisco quanto sia raggiante Donna, capisco anche quel che puoi provare con una donna del genere affianco. Però capisco anche fin dove si può abbassare la dignità di un uomo.
La prima volta che vidi un uomo piangere fu quella volta. No, sbaglio fu la seconda; la prima successe anni prima, in occasione della morte del nonno. Papà si mise in disparte ed iniziò a singhiozzare, nascosto dietro le tende della camera mortuaria. Ebbi la stessa impressione, lo stesso stupore nell'osservare un uomo di quell'età e per di più corpulento piangere a dirotto.
-Sono un bastardo, hai ragione, un uomo senza scrupoli, che ha provocato gran dolore in vita sua. Ma la vicinanza di Donna stava cambiandomi; la sua dolcezza, il saper capire ogni mio gesto... Non si tratta solo di bellezza esterna, lei era speciale. Non ci sono parole per chiederti scusa, e giuro che nessuno proverà più a farti del male. Tieni...- mi allungò un foglio piegato e si voltò, uscendo dal bar. Passai alcuni secondi in confusione, gli occhi pieni di immagini apocalittiche, ma quando riuscii a comprendere le sue parole mi sentii libero. Il foglio, un A4 da fotocopiatrice, recava scritto un indirizzo, e sotto la frase "Lei un tempo viveva qui. Trovala, amala e stringila al cuore per me", nient'altro. Lo sporsi a Franco, cercando in lui una risposta.
-Dai, muoviti, Donna è tua- disse semplicemente. Ma Donna era fuggita, non mi aveva più chiamato, il suo numero non compariva più nella rubrica del mio cellulare, e mi maledii per questo. Poi una luce si accese, seppur fioca, legata a quell'indirizzo: c'era una persona che forse poteva aiutarmi, e quello era l'ispettore Demarchi. Strappai il foglio e corsi in strada, dove trovai ad aspettarmi la mia moto. Furono ore forsennate, durante il quale il mio cervello registrava suoni ed immagini che poi perdeva. Mi trovai il giorno dopo con in mano un numero di telefono. Demarchi aveva trovato all'indirizzo lasciatomi da Peter la madre di Donna. Lo composi, le mani tremanti. Sentii la sua voce e risposi: -Ciao Donna, sono io...-
- Stefano sei tu?!
-Si, che bello sentire la tua voce, scusami se non ti ho chiamato prima, ma solo ora ho trovato il coraggio di farlo, ho voglia di vederti, di baciarti, di stringerti a me. Devo confessartelo, mi sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista. Ed il mio amore è cresciuto sempre di più. So che ti sembrerà mieloso, ma è cosi!
- Anche tu mi sei piaciuto la prima volta che ti ho visto. Con Peter le cose non andavano da tempo, mi sentivo messa da parte. l'amavo, mi faceva sentire sempre desiderata poi è stato preso dal lavoro, era diventato monotono.
- Sei da tua madre vero?
- Si!
- Prepara le valige che ti porto via da lì.
Chiusi la chiamata e corsi a prendere la giacca e le chiavi della macchina e partii. Le due ore di macchina passarono velocemente. Stavo andando dalla mia amata, non m'importava dove fosse. Fosse stata anche la luna sarei corso a prenderla. Non potevo più aspettare. Sapevo che se avessi esitato un solo istante avrebbe potuto ripensare a Peter, dovevo agire in fretta, mi sentivo un egoista però sapevo bene che per una volta nella vita bisogna agire in quel modo.
Entrato nel paese la chiamai nuovamente e le dissi di aspettarmi sotto casa, caricammo i bagagli e tornammo a casa mia. Quella volta fu la prima volta in cui facemmo l'amore.