Il Re Nero
Li guardava compiaciuto: erano tutti lì davanti a lui. Tutti a pendere dalle sue labbra. Tutti ad aspettare che il suo volere fosse esaudito. Tutti a tremare ad ogni piccolo movimento dei suoi muscoli. Tutti a temere ciò che nella mente avrebbe preparato per ciascuno di loro.
Ora toccava a lui vincere: sissignori, a lui. Perché lì ci sarebbe stato un unico vincitore: lui, il Re Nero.
Ripose la scacchiera dove aveva posizionato con cura tutti i pezzi bianchi ed eliminato quelli neri, salvo uno: il Re. Gli piacevano gli scacchi, anche se non sapeva giocare. Spesso li disponeva sulla scacchiera e poi si incantava a guardarli. Come adesso. Adesso che avrebbe giocato la sua partita con come uniche regole le sue.
Prese il Re Nero e lo posizionò in E5, in mezzo alla scacchiera ed esattamente davanti al suo omologo Bianco. Prese tutti gli altri pezzi neri e li mise sul tavolo a lato della scacchiera come fosse un supino esercito ai suoi ordini, perché quella partita stavolta l'avrebbe giocata da solo. Lui contro tutti per far emergere l'anima nera di quei tronfi pezzi che con il loro candido mantello pensavano di essere al riparo da ogni male.
Prese con delicatezza la scacchiera e la ripose con cura su di un ripiano della libreria del salotto che aveva sgomberato per l'occasione. La guardò con un sorriso feroce, poi spostò i pedoni in A2, C2, E2 e G2 in avanti di una casella, prese la Torre, l'Alfiere e il Cavallo e li posizionò davanti ai loro omologhi bianchi nelle caselle che i pedoni avevano lasciato libere. Solo la Regina Bianca rimase con la casella davanti a sé vuota. A lei ci avrebbe pensato più avanti, al momento opportuno. Compiaciuto chiuse le ante della libreria come avesse chiuso uno scrigno e disse: - Bene, Re Nero. Ora tocca a te-.
Detto ciò indossò il suo paio di jeans preferiti, la camicia azzurra con l'interno del collo e dei polsini a scacchi, un maglioncino blu, i mocassini scuri dello stesso colore ed il piumino migliore. Si guardò allo specchio dopo essersi ravviato i capelli: ottimo, proprio perfetto per i tre pezzi che lo aspettavano.
La torre era uno dei suoi pezzi preferiti. A volte ci si immaginava sopra, come in un castello medievale, a sorvegliare il nemico. Di quei porci figli di cane che erano lì per lui. Quelli che volevano il suo male, ce n'erano tanti. Praticamente tutti quelli che capivano che lui era dieci passi avanti a tutti. Lo invidiavano, lo temevano, segretamente diventavano verdi dalla rabbia e dall'invidia perché lui era il più geniale, il più bravo. Dalla torre li vedeva arrivare, percepiva le minacce nei loro occhi, si sentiva protetto e da lì avrebbe voluto buttare la persona più in alto, quella che odiava a morte. Odiare? No, non odiava, lui, non era così umano, semplicemente sentiva il bisogno di togliere di mezzo una minaccia.
Rosanna Altieri non era solo una capo ufficio, era quella che in azienda faceva il bello ed il cattivo tempo. Immanicata con il grande capo e subdola in una maniera quasi satanica. Finta angelica, sì, lei che gli aveva negato quel necessario passaggio di categoria che, tutti sapevano, meritava ampiamente. Lei che non solo glielo aveva negato per la paura che lui, evidentemente più bravo, le potesse rovinare la posizione, ma che gli aveva fatto quel trucco per fargli avere un ammonimento verbale, quella volta. Non un richiamo scritto, ma un 'ti tengo per le palle' che doveva servirgli a non provarci più.
E chi ci provava? Le minacce si eliminano, semplicemente.
Uscì nella sera tiepida e camminò per molto tempo. Le gambe lo trasportavano avanti con spinta e velocità, un passo svelto, determinato, che lo condusse in Via delle Rose, la sede dell'azienda.
A quell'ora di sicuro la Altieri era ancora lì a marchettare con il capo, riferire cose sentite e far finta di lavorare. Svoltò l'angolo nel viale alberato e si trovò davanti una signorina, di quelle che non aspettano esattamente l'autobus, ma danno tutta l'impressione di farlo.
-Bello, hai da fare?- chiese la giovane, vedendolo. -Da me o da te?-.
Fu in quel momento che il viso della giovane si tramutò in quello di Rosanna Altieri, la marchettara per eccellenza; gli chiedeva di fare una sveltina, ruffianamente cercando un segno di pace. Lui era mille volte più sveglio di lei, non ci cascava di certo. Nella tasca del piumino aveva il suo coltello preferito. Lo estrasse in un attimo, senza che la giovane si accorgesse nemmeno di quello che stava facendo.
La ragazza si accasciò ai suoi piedi come un palloncino sgonfio: non era la Altieri, ma un semplice pedone nella sua scacchiera, l'anima nera della sua vera vittima. Stava per andarsene quando sentì un grido soffocato. Alzò lo sguardo e, con il coltello insanguinato ancora in mano, vide la Altieri che guardava con terrore prima la ragazza, poi lui con il coltello ancora in mano, poi di nuovo la ragazza.
-Dottoressa Rosanna, che piacere. Non ci crederà, ma stavo aspettando proprio lei- e dicendo ciò si mosse in avanti in direzione della collega. - Ti sembra terribile, vero Dottoressa? - le disse digrignando i denti - sconvolgente che la tua anima nera sia stata eliminata, vero?-.
La Altieri strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca come per replicare, incapace di articolare una parola, poi si voltò in cerca di fuga. Il Re Nero con un balzo le fu subito addosso, la assalì da dietro portandole il coltello alla gola e la donna, sentendo la lama fredda premuta contro la carne, si immobilizzò all'istante.
-Sei un problema, Dottoressa, un grosso problema, lo sai? -.
-Dimmi quello che vuoi, farò tutto quello che mi chiedi- gli disse piagnucolando. - Vuoi il passaggio di categoria? Domani lo avrai. Promesso!-. Udendo le parole della Altieri, il Re Nero sentì montargli dentro una furia incontrollabile: quella marchettara gli stava offrendo ciò che era suo di diritto e in più con quell'offerta insultava palesemente la sua intelligenza. Con gli occhi iniettati di sangue per la rabbia le rispose: -Troppo tardi- e le tagliò di netto la gola. La donna si agitò un poco tra le sue braccia, ma bastarono pochi secondi e anche lei non divenne che una macchia scura sul marciapiede. Il Re Nero sorrise. Era chiaro che il destino gli era amico: nessuno nei dintorni e lui che poteva tornare alla sua scacchiera ed eliminare ben due pezzi.
Mezz'ora dopo il commissario Salieri si chinò a terra e annusò il corpo, come suo uso. Intorno gli uomini della squadra lo lasciarono fare, erano abituati alle sue stranezze, ma sapevano perfettamente che dietro a quell'aria da uomo mediocre si nascondeva lo spirito di un vero segugio. Si rialzò e guardò fisso il medico legale.
-Arma del delitto? Coltello o?...- il dottore scrollò la testa.
-Coltello, taglio inferto con forza ed in profondità con la resezione della vena giugulare. Morta in pochi secondi, povera ragazza. L'assassino deve averla sorpresa alle spalle-.
-Non credo- Salieri guardò nelle due direzioni, poi il corpo disteso a terra. -Direi che si è girata per scappare nella direzione opposta, verso la sede della ditta, dove se non sbaglio lavorava-.
-Esatto- confermò uno dei poliziotti.
-Questo è un delitto che va risolto investigando tra il personale ed i colleghi. Che ruolo ricopriva?-.
-Capo ufficio, carriera fulminea- rispose, il solito poliziotto. -Nessun marito o figlio, genitori deceduti e non risulta avesse una relazione stabile-.
-Io proverei a parlare con il direttore- disse caustico il commissario. La sua mente lavorava a pieno ritmo, in pochi minuti era riuscito a farsi un quadro della situazione.
-Ma la prostituta?- chiese l'ispettrice Marini, intervenendo per la prima volta. -Che c'entra con l'Altieri?-.
-Una carta giocata a vuoto- rispose Salieri, sibillino. Era convinto che era stata uccisa per un motivo ben preciso, prima di eliminare la dottoressa. -Sappiamo qualcosa di lei?-.
-Nessuna carta d'identità o foglio di soggiorno. Nella piccola borsa c'è un mazzo di chiavi, un biglietto dell'autobus e settanta euro. Quindi è da escludere una rapina- Salieri si girò con aria contrita.
-Perché c'erano dei dubbi? Secondo voi un ladro uccide una prostituta, poi si accanisce contro una stimata professionista e le lascia a terra senza nemmeno portare via la borsa alle vittime? Sveglia ragazzi, avete ancora tanto da imparare. Lei è stata solo una pedina, il vero obiettivo è la Altieri!-
-La solita storiella del capo con la bella impiegata?- Marini, da donna, si sentì punta sul vivo.
-I tuoi gradi te li sei meritati, anche se sei una bella donna- il commissario non aveva peli sulla lingua. -Comunque si, ne sono convinto. Individuiamo i colleghi più loquaci e facciamoci raccontare particolari-.
La squadra si mise in moto, Marini e Salieri osservarono il personale dell'obitorio prelevare le due vittime, poi entrarono nella palazzina, sede della società. Ma due occhi freddi e scrutatori non avevano perso di vista i movimenti e le parole del commissario. Nascosto tra la piccola folla, tenuta a debita distanza da una manciata di poliziotti, l'assassino sentì la rabbia montargli dentro. “Troppo furbo”, pensò tra se, “un problema che va stroncato sul nascere”. Sapeva che le indagini sarebbero partite, ma non poteva immaginare di trovarsi faccia a faccia con un tipo tosto quanto il commissario Salieri.
Il Re Nero si dileguò con la velocità con cui si scioglie la neve al sole. Mentre tornava verso casa continuava a ripassare mentalmente, come in un film, le parole e i movimenti di Salieri, per non farsi scappare nemmeno un particolare di quello che ormai nella sua mente stava diventando l'antagonista principale alla realizzazione del riordino della situazione.
Nella sua testa rimbombavano sempre uguali e ripetute all'infinito le parole di Salieri: “una carta giocata a vuoto". No, stupido poliziotto, non è una carta giocata a vuoto, non sono così superficiale. Quella che ho ucciso me l'ha messa davanti il destino, era l'anima nera di quell'arrivista senza scrupoli dell'Altieri. Altro che carta giocata a vuoto. E poi: “si è accanito contro una stimata professionista". Ma quale stimata professionista? Come si permetteva di dare un appellativo tanto importante ad una macchia sulla tappezzeria come l'Altieri era? Stupidi poliziotti, danno aria alla bocca appiccicando importanza a chi non ce l'ha.
La testa gli scoppiava, le tempie pulsavano come se volessero espellere i pensieri e personificarli davanti a lui. Salì le scale di corsa e appena in casa aprì gli sportelli dove aveva riposto la scacchiera.
Con una rabbia che non avrebbe immaginato, buttò via la Torre nera e la Torre bianca e anche il pedone davanti alla torre nera. Stupido poliziotto! Gli aveva rovinato la festa. Quella avrebbe dovuto essere la prima di una lunga serie di vittorie ed invece quel Salieri, lo infastidiva pronunciarne il nome anche solo con il pensiero, gli aveva guastato la festa. Ebbe un attimo di tentennamento , ma subito si riprese e sorridendo disse: -Ora tocca al Cavallo, stupido poliziotto e tu non mi potrai fermare -.
Così dicendo gli cadde l'occhio sul Re Bianco che dentro la libreria pareva rifulgere più di tutti gli altri. Gli occhi del Re Nero si fissarono su di lui e divennero piccoli quanto una fessura. -Ah, sei tu allora. Il Re Bianco sei tu, stupido poliziotto. Dismetti le tue arie da onnipotente. Te l'ho detto. Non mi fermerai. Mai!-.
Avrebbe preparato con cura ogni dettaglio, ma prima di tutto doveva far cessare quel pulsante rimbombo nella testa; il dolore stava diventando troppo forte per permettergli di riflettere con lucidità. Rovistò con mani tremanti di rabbia nell'armadietto del bagno, ma chiuse lo sportellino con scatto frustrato. Lo specchietto con una croce smerigliata gli rimandò la sua immagine riflessa: un Re Nero con una corona di spine dolorose. Afferrò il cappotto e scese cercando una farmacia ancora aperta. Rimuginando un rosario di mosse di scacchi imparate negli anni e di maledizioni nei confronti del commissario arrivò a destinazione: aperta ventiquattro ore su ventiquattro, un piccolo paradiso per malati, ipocondriaci e naufraghi notturni. La farmacista di turno era una donna grassa dalle spesse lenti bifocali, lo guardò appena mentre prendeva l'ordinazione e si voltò per afferrare un tubetto di pastiglie di paracetamolo. Il camice bianco teso sulla schiena obesa gli ricordò l'opulento usciere della ditta. Un ometto pingue sempre pronto a ridacchiare al suo passaggio facendo tremolare una pappagorgia irrobustita da anni di sedentaria inattività salutando ossequiosamente gli alti dirigenti e sbeffeggiando gli umili impiegati. Qualcosa scattò nella mente. L'Alfiere Bianco, il servo dei padroni, sempre in obliquo, sempre in diagonale fra i potenti e i poveracci. Fu rapido: saltò il bancone e gettò a terra l'ignara dottoressa. Il coltello vibrò una, due, dieci volte. Respirò grandi boccate d'aria. Il mal di testa era aumentato. Si guardò intorno. Nessuno per fortuna. Andò nel retro e si occupò delle telecamere. Era troppo intelligente per farsi incastrare da un filmato. Videosorveglianza? Ci aveva lavorato per anni, aveva progettato almeno dieci dei programmi più venduti. L'Alfiere Bianco giaceva in una pozza di sangue e medicinali sparpagliati. Uscì tranquillamente con la sua boccetta di antidolorifici. Gustò l'aria della notte. Era stata una prova generale, il vero Alfiere era ancora in vita. Non per molto. Si avviò verso casa trangugiando le pillole direttamente dalla confezione con le mani tremanti, mentre sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene. Si, le avrebbe uccise tutte quelle stupide pedine bianche di una scacchiera che aveva ragione di esistere solo per lui: l'unico Re Nero, il supremo sovrano in grado di togliere la vita. Aprì la porta che con un cigolìo lo accompagnò verso l'appartamento buio e polveroso, accese la televisione, giusto per stemperare la tensione; in seguito si sarebbe organizzato per delineare l'omicidio di quel galoppino di Paolo. Era un ragazzo che si era affidato a un padrone sbagliato, un tempo erano amici, ma poi quel grassone aveva preferito legarsi ad un altra compagnia, ignorandolo. L'avrebbe pagata e come lui tutto il resto delle pedine. Un vocìo che lo raggelò provenne dal televisore: -Il commissario Salieri è sulle tracce di quello che si pensa sia un serial killer. L'assassino pare uccida senza un disegno preciso, le sue mosse sono imprevedibili, è per questo che gli inquirenti lo chiamano "lo scacchista"-.
Il Re Nero sferrò un pugno al televisore ferendosi la mano e facendo cadere l'apparecchio a terra. Scaraventò via con rabbia il tavolino scrostato e con un gesto di stizza buttò a terra i piatti che si trovavano impilati negli armadietti. Lanciò un urlo profondo, corse alla libreria, aprì con foga le ante ed estrasse la scacchiera. Scagliò a terra tutte le pedine lasciando al centro il Re Nero di fronte a quello bianco e alla regina. Non c'era più tempo, avrebbe ammazzato tutti quelli che lo avessero intralciato, nessun disegno preciso, solo la morte lenta di quello stupido commissario, ma prima avrebbe assaporato il gusto della vendetta accarezzando il collo bianco della sua regina. Si infilò il coltello in tasca, senza nemmeno curarsi di darsi una sistemata. La camicia era strappata e il volto stremato; chiamò un taxi che lo avrebbe condotto da lei. Non gli interessava che qualcuno lo vedesse, oramai la partita era iniziata e non poteva finire in altro modo se non con uno scacco al re. Giunse nel quartiere residenziale che puzzava di mediocrità, piccole villette a schiera in bella mostra con appezzamenti di giardini perfettamente curati. Gli tornò alla mente quando anche lui faceva parte di quel mondo noioso e banale, un tempo viveva al numero cinque di Via dei Pioppi, insieme a lei, la sua regina. Poi un giorno quella poco di buono lo aveva lasciato, dicendo che era ossessivo. Quella sgualdrina doveva pagare, lui era l'unico re e tutti dovevano essere suoi sudditi. Bussò con veemenza alla porta ed una donna dai capelli color del miele e due occhi verdi si affacciò alla finestra che dava sul giardino. Senza nemmeno riflettere che qualcuno potesse notarlo, si lanciò contro di lei afferrandola per i capelli e tagliandole la giugulare con un taglio netto, deciso. Sentì dall'interno provenire delle urla e dall'altra parte della strada scorse una vecchia che aveva assistito alla scena. Senza pensarci due volte, ancora sporco di sangue di avventò verso la povera donna, mentre nell'aria provenivano i suoni di sirene spiegate.
Era la fine, lo sentiva, l'epilogo di una mente offuscata dall'odio. Tutti i suoi studi strategici, la cura maniacale con cui aveva piazzato le pedine, non era servito a nulla. C'era sempre l'imprevisto in tutte le cose, nulla poteva essere considerato al cento per cento. La vita era strana, lo aveva fatto sentire il padrone delle sue vittime, quando in fondo non era altro che uno stupido pedone bianco. La vecchia donna urlò di terrore quando vide la lama sporca di sangue giungere nella sua direzione. Il Re Nero ebbe un attimo di esitazione, la guardò e provò pietà per lei. Non c'entrava, non poteva spegnere quella vita, non faceva parte del quadro generale fatto di quadrati neri e bianchi. Alcune persone si misero ad urlare, un'auto della Polizia si fermò dietro di lui, poco prima che, abbandonata la donna, voltò in un vicolo. Sapeva di non poter sfuggire al destino, troppo rapido e ingiusto, ma voleva finire la sua corsa in modo dignitoso, da vero combattente.
-Circondate l'isolato!- gridò Salieri agli agenti. -Ci penso io!- ed estrasse l'arma di ordinanza. Quando era stato raggiunto dalla chiamata alla radio si trovava in zona, dopo aver raccolto e letto le testimonianze del personale della ditta dove l'Altieri lavorava. Molti di loro avevano indicato Matteo Ranieri come la persona più vessata da parte della donna. C'era voluto poco per scoprire di più su di lui, del matrimonio fallito e l'indirizzo della ex moglie. “Una fortuna sfacciata”, pensò tra se, mentre con passo deciso inseguiva l'uomo. “Peccato non aver potuto salvare la donna”. Era un vero mastino, una delle menti più lucide dell'intero corpo di Polizia, ma anche giusto e professionale. In vita sua si era cacciato più volte in situazioni simili, ed ogni volta aveva dovuto dar fondo al proprio lato di psicologo per evitare il peggio, ma questa volta capì che a nulla sarebbero servite le parole. Il re Nero si era fermato, voltandosi, gli occhi due pozzi neri, la fronte sudata e il labbro tirato che metteva in mostra i denti. Non era più un uomo, ma una belva.
-Fermo dove sei, non fare cazzate. Sei circondato!- Salieri si bloccò a breve distanza. Puntò l'arma, tenendola ben salda tra le mani. -Ora metti il coltello a terra e arrenditi. Ti aiuterò io, te lo prometto-.
Una risata scaturì da quel viso sfigurato dal terrore, quasi un ululato di una bestia ferita. Salieri non era pronto quando lo vide scattare in avanti, il coltello teso e un urlo disumano che accompagnava la corsa. Capì che non si sarebbe fermato, gli avrebbe affondato la lama nel petto per poi fuggire oltre. I suoi agenti lo avrebbero fermato, ma a che prezzo. Non voleva morire, come non voleva sparare, mai in vita sua aveva ucciso qualcuno. Era una grande prova, una di quelle che un uomo non dovrebbe mai affrontare: togliere la vita ad un altro essere per salvarsi. Salieri chiuse gli occhi e nel nero della mente fece scattare il dito sul grilletto. Scacco matto.