Piccola storia inversa

21.02.2015 19:30

 Di Marisa Cappelletti

 

Il tempo stava cambiando, le nubi nere correvano in un cielo disperato, il freddo era sceso improvviso, stringendola e costringendola in una morsa gelata.
Non sarebbe servito affrettarsi perché non aveva nessun posto riparato da raggiungere, nessuna casa l'avrebbe mai più accolta con il calore di una famiglia, era sola e se lo era meritato.
Consapevole dei propri errori e conscia di non potervi rimediare, pesante di tutto il male che aveva fatto e portato nella vita di tante persone, affondò i piedi scalzi nella sabbia fredda ed avanzò determinata verso la burrasca che si stava profilando sul mare.
Abbandonò, come aveva fatto con le scarpe, la borsa con le lettere e le fotografie, si spogliò degli abiti che lasciò cadere senza alcun ordine, continuò ad avanzare fino a farsi aggredire dalle onde grigie che le si alzavano davanti, allargò le braccia in una resa tragica e totale e si fuse finalmente con la tempesta.
Tutto era iniziato quando aveva conosciuto Giorgio. Si incontravano in piscina, per il corso di nuoto dei loro figli, coetanei, di sette anni, Emanuele il bimbetto di lei e Riccardo quello di lui. Potevano parlare solo durante i cinquanta minuti dell'allenamento, perché a Giorgio non era consentito di entrare nello spogliatoio delle ragazze. In quei momenti parlavano di tutto e si erano raccontati un po' delle loro vite. Lui era rimasto single da poco, la moglie, che aveva dovuto sposare per "riparare" al fatto di averla messa incinta, gli aveva detto chiaramente che non ne poteva più di quella vita, se non ci fosse stato il bambino non le sarebbe mai passato per la testa di sposarlo e cose così. Lei, Chiara, aveva intuito che c'era dell'altro, e che lui ne soffriva, ma non si era azzardata a chiedere oltre. Chiara, dal canto suo, gli aveva raccontato che si erano trasferiti da poco in città, per un'importante offerta di lavoro a suo marito, che però lo teneva costantemente lontano da casa e lei, non conoscendo nessuno, si sentiva molto sola. Si vedevano due volte a settimana, continuando a parlare, mentre dietro il vetro, osservavano i progressi in acqua dei loro figlioletti. Durante la pausa per le vacanze natalizie, Chiara si era resa conto di pensare sempre più insistentemente a Giorgio e non più solo come un amico. Si sorprendeva a pensare a lui nelle situazioni più strane, spesso anche in presenza di suo marito. A volte sorrideva, inconsapevolmente, nel ricordare i suoi gesti e le sue parole, e quando Emanuele le chiedeva il perché, si rendeva conto che la situazione le stava sfuggendo di mano. Non era giusto, nei confronti di suo marito e del bambino. E poi, sicuramente, Giorgio non corrispondeva il suo sentimento. Era solo lei a provarlo. E così, andava avanti, nella speranza che quell'affetto se ne sarebbe andato via così, com'era venuto. Lo sperava ardentemente. Mentiva a se stessa.
Aveva nascosto la verità al marito, a Giorgio alla vita di tutti i giorni.
A questo pensava quando aveva preso il treno, l'ultimo treno della notte ed il suo treno definitivo. Voleva andare là, dove era stata bambina felice . Su quella spiaggia che l'aveva vista correre incontro ai suoi amati genitori, agli amici, alla giovinezza.
Tutto era iniziato lì e lì tutto doveva finire.
Il suo matrimonio procedeva su binari noti e monotoni, senza più slanci né passione, l'amore si era trasformato in affetto ed abitudine e lei si sentiva vecchia, finita, uno strumento nelle mani della famiglia, da usare e poi lasciar cadere nel buio di giornate tutte uguali.
Poi si era innamorata. Di Giorgio. E l'amore le aveva riempito ogni ora del giorno e della notte, ogni angolo della mente e del cuore, aveva ripreso a vivere, a sognare, a splendere.
Si era lasciata conquistare e travolgere da quel sentimento a lungo dimenticato, come se nulla e nessuno potesse fermarla: il marito, il figlio, la casa, tutto quello che le stava intorno.
Non voleva più pensare, troppa sofferenza aveva causato per quella breve illusione di felicità.
Era stata davvero felice? Ne era valsa la pena?
La risposta stava su quella spiaggia fredda spazzata dal maestrale, in quel solitario viaggio verso la tempesta.
Quando suo marito aveva scoperto la "tresca" era andato su tutte le furie. Con l'impeto della sua giovane età, l'uomo si era accanito verbalmente su di lei, insultandola con appellativi irripetibili e trattenendosi a stento dal picchiarla. Non contento di ciò, aveva scaraventato fuori di casa le sue cose e poi anche lei che lo supplicava di smetterla, per amore del figlioletto. Non avrebbe mai dimenticato gli occhi terrorizzati di Emanuele che, testimone involontario della scena, senza capire nulla di quel putiferio, piangeva disperato, cercando, a suo modo, di calmare il papà e proteggere la mamma. E soprattutto non avrebbe dimenticato le ultime parole di suo marito "Sei una puttana. Non vedrai più Emanuele, puoi starne certa. E adesso vattene, non voglio vederti mai più!" Le aveva sbattuto la porta in faccia e l'ultima immagine che aveva visto erano le manine di Emanuele tese verso di lei e l'urlo carico di angoscia di quell'unica parola "Mamma...mamma!" Aveva sentito la voce di suo marito rimproverare aspramente il figlio e allontanarlo a forza. Era rimasta a lungo seduta a singhiozzare davanti alla porta, consapevole degli sguardi curiosi dei vicini che sentiva su di sé, sperando che, passata la sfuriata, suo marito, soprattutto per amore del bimbo, le avrebbe riaperto. Non era accaduto. Mentre sopraggiungeva la notte, Chiara aveva raccolto, in lacrime, le sue cose e con quelle, sotto una pioggia battente, si era allontanata, voltandosi ogni tanto a guardare indietro, per accertarsi che davvero fosse tutto finito. Non sapeva dove andare, non aveva soldi, non aveva un telefono. S'incamminò verso casa di Giorgio che era molto distante dalla sua, ma il solo pensare a lui, dopo tutto quello che era accaduto, invece di procurarle gioia, la faceva sentire sporca. Forse aveva ragione lui, era una puttana. Avrebbe accettato tutto, ma non di perdere il bambino. Quello non poteva sopportarlo.
Giorgio. Non ci aveva messo poi molto a conquistarla. Con quel suo finto disinteresse per lei, la tiepida simpatia, le chiacchierate sulla famiglia ed i figli, quell' aria sofferente e misteriosa: una trappola ben pianificata. Lei ci era cascata subito, povera com'era di sensazioni e sentimenti.
Si era arresa all'attrazione fisica e mentale, illusa di poter trovare una spiaggia sicura su cui fermarsi per riprendersi la vita. Aveva cozzato contro due muri altissimi. Il primo era stato il marito: lei, inesperta e pasticciona, si era fatta scoprire come si scopre una bimba che sta rubando la marmellata. Lui aveva capito, prima di avere delle prove tangibili, che la stava perdendo, che ormai aveva buttato il cuore altrove. Ferito nel profondo l'aveva insultata, ripudiata, odiata fino al punto da toglierle il bambino.
L'altro muro, di gomma, era stato il suo "amante" anche se di lui tutto si poteva dire fuorché che l'amasse. Era il suo passatempo, la donna del momento e niente di più. Si era sbagliata nel crederlo un uomo sensibile e solo. Era solo un arido calcolatore, contro il quale rimbalzavano in continuazione i suoi sentimenti: rimandati alla mittente.
La disperazione la stava spingendo verso casa di Giorgio, sperava ancora di poter trovare un minimo di comprensione. Sperava che Emanuele fosse là, con Riccardo, sperava di poterlo abbracciare ancora.
Assurdo. Lo sapeva bene.
Arrivò sotto casa di Giorgio, fradicia e disperata. Involontariamente, scorse il suo riflesso nel finestrino di una macchina di passaggio. Era in condizioni pietose. Non voleva che Giorgio la vedesse così. Non voleva che nessuno la vedesse così. Con un inaspettato e improvviso scatto d'orgoglio e dignità, prese la sua decisione. Guardò il cielo, solcato da immensi nuvoloni plumbei, senza neanche un minuscolo sprazzo d'azzurro. Proprio come la sua vita, in quel momento. I pensieri si affollavano, mentre i suoi piedi, come mossi da una forza invisibile, si dirigevano, senza esitazione, verso la meta prefissata, la spiaggia. Giunta a destinazione, si fermò a guardare: il mare ruggiva, sbattendo con violenza le sue onde e la sua rabbia stava aumentando, in una promessa di distruzione e morte. La stessa rabbia di suo marito. La stessa rabbia che lei provava contro se stessa, per aver rovinato tutto. La stessa promessa di distruzione e morte. Nonostante il vento di tempesta sollevasse sabbia e polvere, infiltrandosi ovunque, Chiara raggiunse la spiaggia. Non aveva niente, tranne la sua borsa. Ricordò che, in essa, erano custoditi i suoi tesori più preziosi: la lettera in cui Giorgio le dichiarava il suo amore, e la foto che la ritraeva insieme al marito e ad Emanuele, insieme, felici. Un tempo che non sarebbe tornato mai più. Le strinse al petto, opponendosi al vento che tentava di strapparle via. Baciò il volto di Emanuele, scalciò via le scarpe, affondò i piedi scalzi nella sabbia fredda e avanzò determinata verso la burrasca che si stava profilando sul mare.​Abbandonò, come aveva fatto con le scarpe, la borsa con le lettere e le fotografie, si spogliò degli abiti che lasciò cadere senza alcun ordine, continuò ad avanzare fino a farsi aggredire dalle onde grigie che le si alzavano davanti, allargò le braccia in una resa tragica e totale e si fuse finalmente con la tempesta.