Persa nelle parole

11.01.2016 23:46
Non ho mai sopportato chi parla troppo, non ho mai sopportato quelle persone che per dirti una cosa anzichè usare le venti o trenta parole che basterebbero ne usano duecento e ti rintronano tanto che ti gira persino la testa. Il dono della sintesi, ecco: questo ci vuole, il dono della sintesi. Che bello sarebbe essere capaci di esprimere un concetto in modo stringato e chiaro utilizzando solo le parole che servono. Questi erano i miei pensieri dopo aver dovuto sopportare l'ennesimo lunghissimo monologo da parte di un'amica che francamente cominciava ad annoiarmi oltre che a darmi sui nervi. Con lei stava diventando sempre più difficile intavolare un dialogo poichè ogni accenno di replica veniva stroncato dal suo ininterrotto fiume di parole. Annoiata alzai lo sguardo per guardare una bella nuvola che da bianca stava diventando rosa per il riflesso del sole al tramonto: il chiarore che emanava mi abbagliò e quando abbassai gli occhi dei puntini luminosi correvano veloci sul tavolo seguendo il mio sguardo. Sbattei le palpebre, ma i puntini non se ne andavano, anzi si ingrandivano e sembravano quasi prendere forma: ora uscivano dal cellulare che avevo abbandonato sul tavolo chiudendo la comunicazione quando ancora Miranda si stava profondendo nei suoi interminabili saluti. Il tavolo si stava riempiendo e con stupore vidi che non erano più punti, ma lettere, tante lettere che formavano delle parole e le parole si spargevano sul tavolo e poi ogni lettera si staccava dalle altre abbandonando la parola di origine ed unendosi ad altre lettere per formare altre parole. In pochi secondi il tavolo era zeppo di lettere che si spostavano come in una danza e la cosa era talmente divertente che mi venne voglia di prenderle a prestito per scrivere una storia: magari aspettando ancora un po' ne avrei avute talmente tante da poterci scrivere un libro. Il difficile era metterle insieme nel modo giusto.
Mentre pensavo le parole si presero per mano e formarono trenini di parole che diventavano frasi. Provai a leggerne qualcuna, ma erano sconnesse, erano non-frasi, così come molte erano non-parole. Erano semplicemente lettere che avevano simpatia per altre lettere e così si erano prese per mano e trotterellavano leggere ormai fuori dal tavolo e per tutta la stanza. Pensai di divertirmi un po' con loro ed iniziai a cercare di unirle formando delle parole con un significato. Inizialmente furono un po' restie, avevano paura di me che non ero una di loro e come avvicinavo le dita fuggivano lasciando il vuoto intorno alla mia mano, ma poi piano piano si avvicinarono alle mie dita osservandole. Dopo poco vidi alcune di loro unirsi formando la parola pollice, poi indice, poi medio e via di seguito fino all'ultima che scrisse "mano" e si mise sotto tutte le altre imitando la forma della mia mano: càspita, erano lettere intelligenti! Divertita iniziai a muovere la mano spostando alcune delle altre lettere che si erano avvicinate come per osservare e formai la parola coltello. La parola rimase ferma sul tavolo per un po', ma poi si mosse e si scagliò contro il mio braccio provocandomi un'escoriazione. Con l'altra mano diedi una sberla alla parola che si frantumò cadendo per terra e diventando un collo che trotterellò per la stanza in cerca di una testa, ma trovò un capo, lo guardò interrogativo e gli si buttò contro formando un capocollo. Vedendolo pensai che era ora di pranzo e che avevo fame, così mi diressi in cucina rimandando a più tardi l'inizio della stesura del libro. Ormai c'erano lettere dappertutto che si divertivano a formare le parole più svariate. Presi una pentola e ci misi dentro la parola uovo che avevo trovato lì vicino, ma mi cadde nella pentola anche una m e così mescolando l'uovo divenne un uomo che mi gridò:" Sei pazza??Mi stai facendo arrosto!".
Mi allarmai, dovevo stare attenta, quelle parole erano pericolose. Afferrai per la capocchia un T, che indispettita si aggirava tra i fornelli, e la infilai nel tegame sostituendola alla U che si era impigliata nel maglione. Un grosso tomo, ora, stava bruciacchiando sul fondo della pentola antiaderente. Lessi velocemente, cercando di non scottarmi le dita: astrofisica nucleare, filosofia agnostica. Lo chiusi annoiata, non era il momento adatto per concentrarmi su teoremi metafisici, avevo ben altro a cui pensare. Mi avviai in salotto: la stanza era quasi completamente sommersa da piccole lettere dispettose che si rincorrevano lungo i muri dell’appartamento, imbrattati di inchiostro. Miranda continuava a sputare parole dalla bocca, che pareva sempre più larga. Possibile che non si accorgesse di nulla? Con l’indice mi cucii virtualmente la bocca e delle simpatiche paroline accorsero in mio aiuto. Dello scoth, era proprio ciò che ci voleva. Abbracciandosi si avviarono sulle labbra della mia amica e finalmente la zittirono. Tirai un sospiro di sollievo, ero stanca avevo bisogno di un drink. Una V mi strisciò lungo il corpo e accompagnata dalle sue inseparabili amiche, mi si piazzò in mano. Del buon vino era giusto quello che mi serviva per rilassarmi. Incidentalmente inciampai in una P che rotolava sul pavimento, e fu un attimo di terrore puro. La V cadde a terra e per un pelo non venni investita da un grosso Pino che mi atterrò dietro le spalle, distruggendo un gruppetto di lettere leggiadre. Non potevo perdere altro tempo, dovevo pensare al mio romanzo e porre molta attenzione ai vocaboli.
Il problema, però, rimaneva, perché un pino in salotto è un po' ingombrante. Soprattutto se il pino, nel cadere, butta giù una scatola intera di L rintanate lì non so perché. Ne venne fuori un Llllllllino, che in parte era un immenso rotolone di tela ed in parte una distesa di L a terra, abbastanza sconsolate. Non era facile, incespicare nel telo, recuperare le L e cercare di mettere in ordine quel poco che bastava a camminare nella stanza.
In quel momento mi accorsi che lettere continuavano ad uscire, ma erano lettere così piccole, ma così piccole, da sembrare uno sciame di moscerini. Insistenti, pungenti ed anche un po' cattivelli. Mi punsero una mano, una gamba e subito presi la prima lettera che trovai per difendermi: una Q. La Q, come sappiamo, è una lettera un po' presuntuosa e nella mia mano cominciò ad ingrandirsi e tentare di mostrare il fisico da culturista, ma invano. Mi ritrovai con un Quaderno grande come mezza stanza e con quello cominciai a sventolare addosso alle letterine fastidiose. Contraerea improvvisata.
Almeno finché le letterine minuscole non cominciarono ad unirsi tra loro formando catene e catene di seggioline, finestrine e ciliegine. Mi bersagliavano. Per quanto me lo poteva permettere il Quaderno continuai ad allontanarle, ma perdendo pagine su pagine mi ritrovai con un Quadernino in mano e con quello non riuscivo neanche a farmi vento. Quasi subito si ruppe, volò via il derno e rimasi con un Qua. Il che, bel problema, mi portò in salotto una file di papere ancora più insistenti e giocherellone delle letterine volanti.
Era veramente difficile tentaree di scrivere il romanzo, ora, ma ci volevo provare lo stesso e mi concentrai.
Ma ecco che nella mia testa prende a ronzare la M. Tanto da riuscire perfino a vederla. Non so se mi piace. Adesso avrei bisogno di tutte quante le lettere per il mio romanzo. Potrei giusto fare a meno della W. Ma appena appena. Allora le dico di andar via, ma non si muove da li. Non mi ascolta nemmeno per un attimo. Mi confonde le idee non poco. Mi fa perdere la concentrazione. Allora la caccio con più decisione... la spingo giù fino a procurarle una musata fragorosa contro una N . " Sai M" sussurra " tu devi essere o molto furba o molto stupida. Quanto è furba una M? Questo non so dirlo, ma una cosa la so! Sai essere molto invadente. Sei dentro a decine di migliaia di parole e altrettante ne cominci. Sei parecchio Maldestra. Mi somigli parecchio, ma io ho decisamente un profilo meno ingombrante. Più fine ed elegante. Tu sei Morbida, molliccia e soprattutto Mammona. Io sono più nobile e possiedo una Notevole quantità di virtù che adesso non sto ad elencarti. Ho idea che tu ed io non possiamo stare troppo vicine. No. Siamo incompatibili. Semmai intervallate da qualche amica consonante... Diciamo che, ad almeno una leggera distanza, rendiamo di più!"
"On no! Ora si mettono anche a bisticciare le lettere. Non va bene, se continuano così non riuscirò mai ad iniziare a scrivere il mio romanzo" pensai scocciata da una Z che volava in cerchio e mi ronzava nelle orecchie. Dopo una serie di tentativi la presi in pieno e la mandai a sbattere contro un mucchietto di letterine che se ne stavano in disparte. La Z ci cadde proprio in mezzo ed ebbe l'effetto di un fuoco d'artificio: una serie di W, di Y, di J e di K vennero sparate contro le pareti dove vi restarono appiccicate. "Beh" pensai "in effetti di quelle lettere non è che me ne sarei fatta molto a meno che non avessi scelto di scrivere magari in inglese o in tedesco, ma era fuori discussione e non mi curai più di loro.
Questo fatto però gettò lo scompiglio tra le altre lettere poichè, vista la fine fatta dalle quattro lettere precedenti, tutte temettero che per colpa della Z toccasse loro la stessa sorte e quindi vi fu un fuggi fuggi generale tanto che io pensai che tutte le lettere sarebbero scomparse e con loro anche la possibilità per me di comporre il mio libro quasi automaticamente. Quando il parapiglia si calmò mi accorsi che le lettere non stavano scappando, semlicemente stavano suddividendosi in due squadre che ora stavano una da una parte ed una dall'altra del gruppo delle Z che erano state tutte emarginate e che ora giacevano in mezzo, schiena contro schiena, per cercare di difendersi dalle due squadre che man mano incombevano sempre di più: a destra le lettere dalla A alla L e dall'altra le lettere dalla M alla V con le A che capeggiavano la loro squadra e le grosse M dall'altra parte che si sporgevano sempre di più sulle Z che invece si facevano sempre più piccole. Decisi che non sarei intervenuta: mi pareva che non fosse il caso e così stetti a guardare la disputa. Tutto sommato le Z non è che mi fossero granchè simpatiche.
"La guerra delle lettere" pensai, proprio un bel titolo per il romanzo che avevo in mente di scrivere, ma per poterlo iniziare dovevo mettere pace tra le due fazioni, così presi coraggio e chiamai vicino a me la P e la A, una lettera per entrambi gli eserciti. Il mio intento era quello di creare una sorta di tregua, creando quel Pace e Amore che in inglese suonava uguale, ma con lettere diverse... Ahia, forse sarebbe stato meglio P e L, perchè all'improvviso mi trovai a fissare Piero Angela e il suo sorriso. Le lettere presero a volteggiare, amalgamandosi e cambiando forma. Dinosauri, pianeti, DNA, scavi archeologici, antichi romani, tutto sembrava far parte di una trasmissione tv, dove Piero Angela raccontava e divulgava senza sosta. Afferrai al volo una S e la lanciai contro il presentatore. La scritta Stop lampeggiò un istante, poi tutto smise di roteare e mi ritrovai nella stanza con tutte le lettere a terra.
-Sono C!- esclamai, cercando di bloccare la confusione. -il vostro Capo!-
Le lettere si disposero in ordine su più file e marciarono verso di me, fino a fermarsi in silenzio davanti ai piedi. Tirai un sospiro di sollievo, pensando al passo successivo. Dovevo agire con cautela, creando l'ambiente giusto per il romanzo. Afferrai quattro lettere la volo e formai la parola IDEA, appoggiandola sul tavolo, ma non accorgendomi che era presente la lettera R. Immediatamente un boato si propagò per la stanza: sgranai gli occhi e lessi RIDE A. Tutte le A ruppero le righe, sghignazzando a più non posso, contagiando tutte le altre che iniziarono a cozzare, creando parole a caso. Un vaso apparve sul mobile, accanto ad una stufa a legna; ma non solo, chitarre, tavoli da ping pong, asciugamani e termosifoni. Corsi fuori e mi chiusi la porta alle spalle. Rischiavo per davvero di essere sovrastata da tutto quel caos.
Senza pensarci, mi ero fiondata in bagno. Quello cieco, senza finestra. Bella idea non c'è che dire!Per uscire avrei dovuto per forza affrontare tutte quelle parole... La sola idea mi procurò un principio di mal di testa.
Ben presto però qualcosa di nero e denso cominciò a scivolare dalla fessura della porta. Allungai un dito e lo toccai: inchiostro! Appiccicoso come pece, si espandeva sempre più, formando un'enorme pozza buia sul lindo pavimento bianco. Indietreggiai infastidita: e ora chi avrebbe pulito tutto questo disastro? E dire che avevo appena finito di passare l'aspirapolvere! Tutta colpa di Miranda.
Allungai una mano per aprire la porta, ma nonostante i miei sforzi, sembrava bloccata. Mi accorsi che l'inchiostro colava copioso anche dal buco della serratura, sporcandomi i jeans e la maglietta. Le mie scarpe ne erano sommerse poichè c'erano almeno tre centimetri di liquido nero sul pavimento. Mi sedetti sul lavandino e mi misi a pensare: ora che le lettere si erano sciolte, come avrei fatto a farmi ascoltare? Ma soprattutto, quanto tempo mi rimaneva prima di affogare in quel mare di inchiostro?
E nel frattempo i centrimentri erano diventati venti.
Già mi immaginavo i titoli dei quotidiani del giorno seguente: "Giovane ragazza trovata morta nel minuscolo bagno cieco del suo minuscolo appartamento. Causa del decesso: shock anafilattico per allergia alle parole".
Fluttuando nell'inchiostro nuotai a rana avanti e indietro, avanti e indietro, finchè...
Allungai la mano colante verso la porta e scrissi in stampatello: APRITI.
La porta si aprì. Benissimo, almeno fino ad un certo punto, perché il lago di inchiostro si spanse sul pavimento e mi arrivò alle gambe. Mi dava fastidio, ma almeno potevo muovermi un po' più liberamente di prima. Poco ma sicuro.
Era anche una buona occasione per tornare a vedere cos'era successo nell'altra stanza. A parte il lago di inchiostro, una benda di lino, qualche ramo del pino, due aerei e qualche tavolo da ping pong, tutto il resto sembrava abbastanza a posto. Una mano di nero rivestiva il pavimento e la cosa non mi piacque molto. In fondo, però, dovevo provare a scrivere il romanzo, no? Pulire... beh, l'avrei fatto dopo.
Anzi...
Cominciai a cercare le lettere giuste per la parola Pulisci, ma quelle piccole si erano nascoste, risentite, da quello che era successo prima, mentre quelle grandi erano mezze sciolte. Erano rimaste, sane e salve, le Z. Qualche P mezza mangiata, un paio di U a metà, le L stavano bene... ci provai. Dopo una serie di tentativi ne uscì una parola sbeccata.
DJLISCI
Funzionava. Funzionava! In un attimo, il pavimento del soggiorno fu sgombro e così quello del bagno.
Dovevo lasciar perdere l'idea di scrivere il romanzo, però. Ormai non c'era più rimasto niente...
Come no? La mia amica continuava a parlare, infaticabile. Nuove lettere, grandi, piccole, belline e bruttine si formarono nella stanza e io ritornai a quello che volevo fare fin dall'inizio.
Per me scrivere è sempre stato abbastanza facile. Parole e frasi si compongono naturalmente nella mia testa e sul foglio. In quell'occasione, però, mi sentivo davvero persa, in balia di lettere confuse e dispettose. Dovevo assolutamente riprendere il controllo. Ne andava del mio lavoro e della mia salute mentale.
Per prima cosa decisi di accendere la musica. Quella mi aiuta sempre a riordinare le idee. La quinta di Beethoven mi sembro' essere la scelta più azzeccata in quella situazione.
Non appena la musica iniziò ci fu un grande fuggi fuggi. Tutte le lettere cercarono un nascondiglio e in men che non si dica si infilarono tra i libri che occupano le mensole che tappezzano le pareti del mio salotto.
Ce l'avevo fatta! Avevo riportato l'ordine nella stanza. Adesso potevo cominciare a pensare ad un incipit che potesse degnamente dar il via al mio nuovo romanzo.
Impugnai la penna e aprii il mio quaderno nuovo alla prima pagina.
Chiusi gli occhi e mi lasciai travolgere dalla musica in un crescendo di emozione.
Raggiunsi la massima concentrazione ed ebbi chiara in mente la frase che avrebbe dato il via al mio romanzo. Sorridendo aprii gli occhi e in quel momento decine di lettere sbucarono dai miei libri e si riversarono rapide e ordinate sulla pagina. Tratteni il fiato leggendo l'incipit più bello che avessi mai scritto.
Mi emozionai, lo confesso. Un perido sintetico ed efficace, pressoché perfetto.
Non mi accorsi subito, troppo intenta ad autoelogiarmi, di quello che mi stava succedendo intorno.
Fu il brusio a richiamare la mia attenzione, risvegliandomi da quell'illusione autocelebrativa. Mi rinvenni dunque e vidi migliaia di letterine riversarsi dalle mie librerie e mensole sul tavolo, sul pavimento, ovunque intorno a me.
Confesso che la cosa mi parve alquanto strana. Avevo considerato chiuso l'incidente di poco prima: "la quinta" aveva fatto il suo dovere cacciando via quelle indisciplinate e riportando l'ordine, ma ora stavo assistendo ad una vera e propria invasione.
E il brusio aumentava diventando assordante. Un boato. Il dolore fu lancinante, mille spilloni mi attraversavano il cervello.
"ZITTE! TACETE! BASTA!" urlai. Stavano prendendo il sopravvento. Persa tra le parole non riuscivo a riprendere il controllo. "Cosa volete da me?" chiesi, dolorante.
Le letterine si zittirono improvvisamente, disponendosi in file serrate ovunque e in ordine alfabetico. Strabuzzai gli occhi. Non si erano mai comportate in quel modo. Una leggera inquietudine venne a sostituire il mal di testa.
Fu l'H a parlare.
- Io in italiano sono una lettera muta e quindi sono quella che più ha il dono della sintesi, quella che piace tanto a te. - Trassi un respiro di sollievo: almeno non avrei dovuto sopportare un monologo muto che doveva essere di una noia mortale. L'H continuò: - Io sono importante perchè se in determinati verbi mi dimentichi, ti faccio fare la figura dell'ignorante prima ancora che tu abbia fiatato, quindi ti conviene ascoltarmi bene. Ora: tu hai scritto l'incipit più bello che ti sia mai capitato però sei qui che ti gonfi come un pallone perchè pensi che sia tutta opera tua- - Certo che è opera mia - risposi piccata . - E qui ti sbagli - fece di rimando l'H - tu credevi di averci zittite con la musica, ma non è così. Quella musica è talmente bella che noi tutte ne siamo rimaste inebriate e ci siamo infilate nella tua penna defluendone nel modo più armonioso di cui fossimo capaci - . Detto ciò smise di parlare e io la guardai interrogativa: ero certa di non aver capito un'H. - Cosa vuoi dire quindi? - incalzai seccata dal suo prolungato silenzio -.- Sei dura di comprendonio - disse suscitando in me il desiderio di cancellarla dall'alfabeto. Contai fino a duemila e poi, per niente calma, dissi: - Sì, sono scema. Ti vuoi spiegare per favore? - Vidi l'H sorridere: - Se ammetti che siamo state noi a comporti il tuo bell'incipit, mettici la tua sublime musica e ti aiuteremo a scrivere il più bel libro che sia mai stato scritto - Sulle prime mi venne da ringhiare un sonoro NO, ma poi pensai "E cosa mi costa se poi ne esce uno splendido libro?". Feci l'aria imbronciata per non destare sospetti e poi ammisi che il merito non era affatto mio. Rimisi la quinta e l'H, come un direttore d'orchestra, iniziò a muoversi e con lei tutte le altre lettere. Danzando si adagiarono armoniosamente sui fogli bianchi riempiendo tutto il mio quaderno. Sarebbe stato un capolavoro? Chi lo sa. L'importante era divertirsi.