La musica dentro (scusa se te lo chiedo)

30.11.2015 21:39

Per la strada deserta, i due procedevano nel caldo assolato di mezzogiorno, sudati e stanchi; e piuttosto nervosi.
- Scusa se te lo chiedo, eh? Anzi, scusa se ti rivolgo la parola -
- Ma che cacchio hai oggi? -
- Sono nervoso, va bene? Non lo so perché, sono nervoso -
- Sì, vabbè. Perché non dici semplicemente che sai il motivo e non lo vuoi dire? Tanto al 'chissà perché' non ci crede nessuno -
- Ci sono alcune cose che hai detto che non mi sono andate giù -
- Ad esempio? -
- Lascia stare. Prima o poi mi calmo -
- Ecco, quando fai così... -
- Non ne voglio parlare, va bene? -
E di colpo il dialogo si interruppe sulle note di una canzone che stava inziando. Improvvisamente la sentirono entrambi, nello stesso momento, come se lì vicino ci fosse stato un bar aperto o il palco di un concerto. Si guardarono con aria sorpresa e subito tutti gli screzi furono sommersi da quella situazione innaturale, o soprannaturale.
Era una sensazione mista di pace ed ansia, quella data da quelle note iniziali. Ansia, perché i due non riuscivano a capire da dove provenisse. Pace perché era una musica dolce, pochi accordi in minore, malinconica e tenue, ma non triste. Una musica di paura che addormenta. Il più nervoso si stese al lato della strada, con un braccio sotto alla testa, per dormire.

Attraverso le palpebre chiuse, il sole gli sembrò un barlume grigio azzurro in un cielo arancione. La ragazza gli si avvicinò rapida e la sua ombra su di lui rese tutto blu per un momento.
- Non dormire, Geco. Non dormire. Questa è una musica che ti frega. Svegliati. Il sole ci cuocerà in pochi minuti -
Steso sul ciglio della strada, il ragazzo ebbe modo di farfugliare qualcosa come: - Lalla, è così bello qui... -
- Dimmi che strumento è - tentò lei - non l'ho capito. Per me è un violoncello che fa una musica rock -
Visto che con le buone non riusciva, si avventò sul ragazzo e lo scosse:
- Svegliati, cazzo. Geco, dobbiamo scappare via da qui! -
- Geco? Ho sentito bene? - chiese una voce alle loro spalle.
La ragazza si voltò e scorse un omino di bassa statura piuttosto pienotto e con una barba da marinaio di lungo corso. Faceva uno strano effetto, lì in quel luogo. Sembrava misterioso ed incomprensibile anche lui.
- Il mio compare non sta bene - rispose lei - mi aiuti -
Mentre l'uomo, insieme a lei, tentava di sollevare Geco, la ragazza spiegò:
- Lo chiamiamo Geco perché ha la strana abitudine di prendere la rincorsa per salire sui muri, sa quelli un po' inclinati. Lo fa per gioco, da anni, ormai -
Proprio in quel momento la musica cambiò il proprio ritmo.

La malinconia di fondo si sciolse con l'arrivo degli altri strumenti. Prima un contrabbasso, sincopato, rapido, poi le percussioni. Con un ritmo quasi da tarantella, la musica cambiò.
Geco, steso a terra, si riprese. Riaprì gli occhi, guardò gli altri due con aria preoccupata e quasi subito la sua paura si tramutò in rabbia.
Scattò in piedi, diede uno spintone all'uomo e Lalla, colta di sorpresa, cominciò a gridare rivolta a lui. Inveiva contro gli altri due.
L'uomo, che sapeva già che tutto quello sarebbe successo, li prese per mano. La mano destra a Lalla, la sinistra a Geco, cominciò a piroettare nel ritmo e i due dimenticarono il motivo della loro ansia, del rancore che li faceva fremere e diventarono puro movimento. Poi li prese per mano e li trascinò sul lato in ombra della strada. Ad aspettare gli altri.
Gli altri chi?
Li guardò e sorrise. Li teneva ancora per mano e loro lo guardarono e si sentirono stranamente quieti, finalmente.
Fermi all'ombra, ascoltando una musica bella ed allegra che forse potevano sentire solo loro, stavano lì, loro tre, ad aspettare. Il calore del sole, in quell'angolo, era un tepore piacevole. I grilli si facevano sentire forte, quasi sovrastando la musica.
C'era finalmente la sensazione che chiunque dovesse arrivare avrebbe portato loro una festa, qualcosa di bello, per riprendere il viaggio con l'intento e nella direzione giusta.
- Chi sei, uomo? - chiesero i due al lupo di mare.

L'uomo fece per rispondere ma poi si voltò verso l'orizzonte. 

- Eccoli - disse. 

I ragazzi guardarono nella stessa direzione. Una folla di persone avanzava verso di loro ed era la più strana combinazione di generi diversi che mai si fosse vista. Donne, uomini, anziani, bambini, tutti vestiti in modo differente, classic, casual, punk, hip hop, vintage, emo...ce n'era per tutti i gusti. Lalla li guardava stupefatta, non aveva mai visto una simile strana assurda combinazione di persone così diverse tra loro.

- Ma chi sono? - chiese all'uomo.

- Già, chi sono? - ribadì Geco.

- Guardateli meglio - rispose lui. Così fecero. Guardarono a lungo, poi Lalla ebbe un sussulto. 

- Cosa c'è? - chiese Geco  

- Mi sembrava...- rispose la ragazza, esitando.

- Ti sembrava? Cosa? - incalzò Geco che, in un altro contesto, si sarebbe infuriato per quella frase lasciata a metà e invece, ascoltando quella musica, era rimasto tranquillo, pur se curioso.

- Non so...mi sembra di riconoscere qualcuno...- aggiunse ancora lei.

- Davvero? - ribatté Geco - E chi? - aggiunse, ancora più incuriosito. Il lupo di mare guardava intensamente la ragazza, con un'aria speranzosa, come se si aspettasse qualcosa che, di lì a poco, sarebbe accaduta.
- Quel bambino...-  disse ancora Lalla indicando un punto in mezzo alla folla che si stava avvicinando.

- Quale bambino? - chiese ancora Geco che, pur guardando, non aveva riconosciuto nessuno. 

- Quello - e Lalla indicò un punto preciso. Geco guardò e stavolta, anche lui ebbe un sussulto. 

- Ma...-  disse, esitante - è proprio lui? - 

- Credo proprio di sì - rispose la ragazza.
L'uomo guardò entrambi. -Cominciate a capire, vero? - domandò, ma i due restarono in silenzio, forse confusi. La folla, nel frattempo, era giunta dinnanzi a loro e si era fermata. Anche la musica era cessata. C'era un silenzio irreale. Il bambino riconosciuto si fece avanti.

Possedeva due occhi grandi e luminosi, il sorriso tipico di un fanciullo davanti ad un nuovo gioco. Non disse nulla, ma mostrò loro un oggetto che teneva in mano. Era un piccolo Kazoo, color argento e muovendolo il sole lo fece scintillare. 

- Non toccatelo - disse loro l'uomo con la barba e strinse le loro mani ancora più forte. 

Geco ebbe un sussulto, la vista di quel piccolo strumento lo riportò al passato, ad una spiaggia dimenticata, le onde che lambivano le chiglie delle barche addormentate sulla sabbia. Era estate, come adesso, lui aveva più o meno l'età di quel bambino e si divertiva a suonare le canzoni del momento cantando dentro al Kazoo. Quello che ne usciva era una melodia strana, ma piacevole. 

Le persone dietro al bambino si fermarono, ognuno con un'espressione diversa sul viso: chi triste, chi allegro, altri in procinto di piangere, alcuni col viso furente. Lalla percepì la vibrazione di una nota bassa, poi una nuova melodia prese corpo dal nulla; era fuori e dentro di lei, sapeva di luce, armonia, la rendeva calma. Si voltò verso Geco, ipnotizzato da quello strumento e pronunciò un nome: Cola. Il bambino si girò, fissandola, poi portò lo strumento alla bocca e attese un attimo prima di cominciare a cantare. Quando lo fece Geco urlò di dolore, si accasciò a terra sulle ginocchia ed iniziò a soffrire come mai in vita sua. L'uomo con la barba unì le mani dei due ragazzi e immediatamente Lalla vide ciò che tormentava Geco. Una spiaggia, quello stesso bambino con il kazoo seduto a terra, davanti a un corpo rovesciato a faccia in giù. Le mani del bimbo posarono lo strumento sulla sabbia e afferrarono la maglia dell'altro; con fatica riuscì a voltarlo e allora Lalla capì la tragedia. Cola, il fratello gemello di Geco era morto annegato e lui gli stava suonando la marcia funebre. 

- Scusa se te lo chiedo - disse Lalla, - ma i morti non dovrebbero riposare in pace? -

Alle parole di Lalla tutte le persone che erano arrivate iniziarono a muoversi ed a danzare seguendo il loro ritmo interiore. Quello che ne scaturì fu una melodia sublime, come un unico armonico suono di un'orchestra di mille elementi ed il movimento dei loro corpi era come un'unica onda che avvolgeva i ragazzi e l'omino con la barba. 

Lentamente la sofferenza di Geco diminuì fino a svanire del tutto e a trasformarsi in un sorriso nel viso di lui che giaceva ancora a terra con gli occhi chiusi, ma dai quali traspariva che ogni dolore si stava sciogliendo e che la quiete prendeva possesso del suo corpo. Geco sentiva defluire dal suo corpo il dolore che si era impossessato di ogni cellula del suo essere. Si sentiva come le onde generate da un sasso lanciato in un lago calmo, che si allargano sempre di più fino a diventare un tutt'uno con la superficie dell'acqua e fondersi con essa. Fu allora che aprì gli occhi e guardò Lalla con un'espresione che mai lei gli aveva visto in volto: - Sì. I morti dovrebbero riposare in pace e forse è così se chi rimane glielo permette e io fino ad ora a Cola non lo avevo permesso -.
- E ora glielo hai permesso? - chiese Lalla aspettandosi un rifiuto. 

- Certo che glielo ha permesso -  rispose l'omino per lui. 

- Lei ancora non ci ha detto chi è - gli disse Lalla. 

- Non lo hai ancora capito? - rispose Geco bonariamente e Lalla si sentì una stupida perchè non riusciva ad entrare in sintonia con lui nonostante la melodia che faceva palpitare ogni cosa all'unisono. 

- Lui è il ritmo dell'universo - disse Geco. 

Lalla guardò Geco come se avesse visto un fantasma, ma nuovamente l'uomo con la barba prese le mani dei due giovani e le unì e Lalla immediatamente sentì la pace che ora riempiva Geco e che dalla mano di lui passava a lei. Finalmente lei potè sentire la musica dentro, la sua musica, che fino a quel momento non aveva potuto sentire. Guardò Geco, sorrise ed iniziò la sua danza al ritmo dell'universo.