Incubo di vendetta

26.09.2015 22:37

Una mano nodosa sbucò dall'ascurità afferrandole la gola, fino a renderle impossibile il respiro.Il volto cianotico e le labbra violacee designavano oramai la sua fine.Una voce roca e funerea le rimbombava in testa."Vendicati, se non vuoi morire".
Anna si alzò di soprassalto dal letto, con il fiato corto e il bisogno impellente di risucchiare più aria possibile. Si portò d'istinto la mano al collo. Era tutto così reale. L'ennesimo incubo, l'ennesima scena, che oramai la perseguitava da giorni. Le parole tetre e terribili di una voce sconosciuta, le perforavano le orecchie. Aveva paura, ma di cosa? "I mostri non esistono", le ripeteva sua madre quando era piccola. Si alzò dal letto dando un'occhiata alla sveglia. Le sette del mattino. Prima di recarsi in ufficio, si sarebbe rinfrescata le idee sotto la doccia. Non aveva voglia di affrontare la riunione con quel viscido del suo capo. Il lavoro sporco era sempre lei a farlo, e quello smidollato si prendeva tutti i meriti. Si guardò allo specchio. Il volto era segnato da grosse occhiaie, nulla che un correttore non avrebbe potuto celare. Indossò uno sguardo finto e si recò alla Heck an co., la compagnia pubblicitaria per la quale lavorava da anni, sottopagata e trattata come una pezza da piedi. Salì sulla Citroen e prima di avviare il motore, si augurò che il dottor Brown, suo responsabile e uomo viscido, morisse spappolato sotto una tir. Davanti allo stabile della compagnia notò un folto un cumulo di gente. Era successo qualcosa, questo era chiaro. Parcheggiò e si fece strada tra la folla. In mezzo alla strada giaceva il suo capo, schiacciato da un camion, con il corpo delaniato. Lo riconobbe solo dall'orologio rolex al polso.

Le ci volle un po' prima di realizzare che era proprio quello che lei aveva desiderato, ma quando ne prese coscienza si sentì mancare la terra da sotto i piedi. Era ben anche vero che lei aveva immaginato una morte in piena campagna, ma pur sempre di camion si trattava e questo le diede non pochi brividi. Mentre saliva nel suo ufficio osservò molti di quelli che avrebbero ucciso il Brown con le loro mani che facevano i lacrimosi e li guardò con disprezzo. Quel giorno si aggirò nell'ufficio scombussolato dal lutto senza riuscire a concludere granchè e stava per pregustare il ritorno a casa ed la lettura di un buon libro quando ricordò che proprio la sera prima era stata disturbata da due ragazzi che erano venuti ad abitare al piano di sopra da un paio di mesi e che stavano rendendole la vita impossibile con il baccano che facevano. Alcuni giorni prima lei si era lamentata un po' più seccamente e da allora era stata bersaglio di scherzi anche pesanti da parte dei due. Giusto il giorno prima l'avevano chiamata dal balcone in modo amichevole, ma si era rivelata solo una farsa per poterla attirare fuori e versarle addosso una bacinella di acqua gelata proprio quando era già vestita per andare al lavoro. Ripensandoci la rabbia le faceva ancora attorcigliare le budella. Desiderò ardentemente che i due precipitassero nella tromba delle scale sfracellandosi la testa. Cercò di scacciare il pensiero di quei due cercando di mantenersi positiva circa l'idea della serata e si diresse verso casa. Già in auto vide uno strano assembramento davanti al portone e due ambulanze. Parcheggiò e si avviò verso casa, ma venne bloccata da un poliziotto che le permise di entrare solo quando gli dimostrò che abitava nel palazzo. Alla sua richiesta di chiarimenti la risposta fu: - Una disgrazia: due giovani sono precipitati nella tromba delle scale - .

Si. Cominciava a considerarlo un dono. Lei non aveva molti nemici, era piuttosto ignorata semmai, ma lo scherno lo trovava crudele e disumano. Si affacciò alla finestra a guadare il cielo. Era scuro di nuvole e si sentiva odore di temporale. Pensò al ragazzo che si stava allenando a calcio al campetto sotto casa. Una volta lo aveva sentito chiamare dai suoi amici. Nichy era il suo nome. Pensò a quante volte, tutte quelle che passava da li, lui l'aveva insultata, alle volte che le aveva urlato: "ma dove vai con quella faccia, stattene a casa che fai meglio!" Riuscì ad intravederne la sagoma e le venne istintivo pensare: "spero che ti colpisca un fulmine, prima o poi!"
Pochi minuti dopo, mentre preparava il solito e triste toast serale, udì il ticchettio dell'acqua. Aveva cominciato a piovere. Si affacciò di nuovo ma, malgrado la pioggia, che ancora però non era proibitiva, Nicky seguitava a correre verso la metà del campo per impadronirsi del pallone. Nel campo adiacente invece ci fu una ritirata generale. Tutti lasciarono il luogo di gioco per correre al riparo. All'improvviso un fulmine si ramificò nella pioggia proprio davanti al campo ancora occupato, puntò serpeggiando in direzione del ragazzo. Rimase come sospeso un istante e poi con un terrificante boato di tuono si avventò contro la sua testa. Sotto gli occhi sbarrati di Anna, un lampo abbagliante di luce bianco-azzurra avvolse Nicky trasformandolo in un'ombra nera contro uno sfondo luminoso. Fu sbalzato ad almeno cinque metri dal suolo con la testa rovesciata all'indietro, le braccia e le gambe contratte dallo spasmo dello shock da fulminazione. Un lieve sorriso disegnò il volto della ragazza. Mentre i compagni di gioco accorrevano verso il corpo rigido del ragazzo colpito, Anna tornò alla sua cena.

Freddamente, si accese il televisore, lo sintonizzò sul primo programma musicale che le capitava a tiro e tornò al toast. Poi ebbe la voglia curiosa di vedere il notiziario locale: se per caso avessero parlato di ciò che lei era stata in grado di fare...
Si sentiva potente, inattaccabile. Ormai non poteva più credere ad una coincidenza. Lei era una potenza della natura. Punto. Alla larga chi le voleva male.
Beccò in pieno una trasmissione, neanche tanto interessante, sui meandri della mente umana. Un'accozzaglia che metteva in insieme le maghe che fanno le carte in tv, la storia di due serial killer e le teorie dei sogni. Lo psicanalista tentava di spiegare le cose in un modo più o meno credibile.
- Appare chiaro che se per caso un sogno che facciamo si dovesse realizzare, noi, in modo paranoico e dissociato, saremmo spinti a credere di essere stati gli artefici. Questo vale per un sogno o per un incubo. Il che significa che l'incubo potrebbe sfociare in un delitto e noi ritenerci onnipotenti. Non lo dico a mio modesto parere, ma supportato anche dalle teorie di validissimi scienziati riconosciuti dalla comunità internazionale come... -
"Ti prendesse fuoco il microfono" pensò Anna piena di rabbia "Tu e le tue teorie..."
All'istante un cortocircuito nell'impianto audio dello studio televisivo mandò a fuoco i cavi, tra mille scintille. In diretta, Anna vide il super esperto cadere all'indietro con la sedia, stecchito.
Il microfono sulla scrivania fumava ancora mentre gli addetti si precipitavano a soccorrerlo, ormai senza più speranze.
Anna mandò giù l'ultimo pezzo di toast con un po' d'acqua e si sentì pienamente soddisfatta.

Non aveva sonno, anzi il potere e la consapevolezza di quanto era in grado di fare l'avevano resa attenta e vigile. Poteva immaginare, causare e godere dell'effetto. Tutto qui. Pensare in grande, quindi; magari mandare al rogo personaggi importanti e pericolosi della politica internazionale, oppure trarre vantaggio per arricchirsi. Ma si, in fondo a lei che fregava del mondo, quando lo stesso sembrava non importare di lei? Appoggiò la testa sul divano e osservò la stanza, i mobili, il tavolino sul quale spiccava la foto di lei e Mike, il fidanzato che sapeva la tradiva, ma che non era mai riuscito a beccare in flagrante. Si fermò pensierosa sull'immagine, poi un sorriso le attraversò il volto. Un'idea macabra stava prendendo forma nella sua mente, quella di lui a letto con l'amante e la stessa che moriva d'infarto durante l'amplesso. Si, bella idea, proprio una bella lezione per Mike. Si addormentò così, cullata dal ticchettio della pioggia e dal suono distante, oltre le finestre chiuse, dell'ambulanza che portava via il corpo di Nicky. Nuovi incubi, scene di violenza, ma anche volti felici, luce e colori, che si mischiavano creando un mondo surreale dove lei viaggiava su ali di carta. Il suono del cellulare la destò, facendola sussultare, gurdò fuori e vide che era ancora buio. Il numero di Mike, due messaggi persi; accettò con ansia la chiamata, quasi sapesse che dall'altra parte le notizie avrebbero avuto il sapore amaro della sconfitta.
-Mio Dio Anna, mio Dio...- Mike era disperato. -Lisa, tua sorella... ha avuto un malore...-
No, non era possibile, non Lisa! Anna non riuscì a spiaccicare parola, non era possibile che lei fosse l'amante di Mike. Lisa, la sorella maggiore perfetta, quella in carriera, con un marito adorabile e due figli che raffiguravano l'esempio di educazione e orgoglio.
-E' morta, Anna, tra le mie braccia...- Mike iniziò a singhiozzare.

Anna non riusciva quasi più a respirare: aveva ucciso sua sorella, questa era l'unica drammatica, pazzesca, incredibile verità. Le lacrime cominciarono a sgorgarle dagli occhi come fiumi senza che lei riuscisse a proferir parola. Mike dall'altro capo del telefono continuava a singhiozzare e a pronunciare parole smozzicate senza senso. Anna era sconvolta, lasciò cadere il cellulare ed iniziò a gridare il suo dolore. Lisa! No! Non Lisa! Come era potuto succedere? Lisa era l'ultima persona a cui avrebbe voluto fare del male. Si aggirò per la stanza come una belva in gabbia con il viso umido di lacrime ed il suo sguardo cadde sul cellulare che le era caduto a terra. Lo raccolse e sentì Mike che ancora parlava, come in trance, ripetendo il suo nome e sempre le stesse parole di prima. Dannato bastardo! Era colpa sua! Era colpa sua se lei aveva ucciso sua sorella,colpa di lui che era riuscito a traviare persino quella splendida persona che era sua sorella, lui, con quel suo modo accattivante di fare, lui che sicuramente l'aveva adulata facendole credere a chissà quali miraggi. Bastardo, grandissimo bastardo. Gli urlò nelle orecchie: - Schifoso! Potessi soffocare nei singhiozzi per chi mi hai costretta ad uccidere! - . - Come? Uccidere? Anna che stai dicendo? - ma mentre pronunciava queste parole singhiozzando, iniziò a tossire convulsamente e sempre più forte. Si udì il tonfo del telefono che cadeva a terra e in sottofondo la tosse sempre più potente che a poco a poco si trasformava in un grido soffocato ed in un rantolo. Poi più nulla. Anna sorrise tra le lacrime, ma immediatamente il suo pianto divenne disperato: si rese conto che non poteva fermare i suoi pensieri e desiderò poter riportare in vita Lisa, ma i suoi pensieri potevano solo uccidere. Provò enorme tristezza. Si sedette sul divano:voleva solo chiudere gli occhi su quel mondo e non riaprirli mai più. Venne ritrovata nella stessa posizione, come in tranquillo rilassamento, due giorni dopo dalla sua vicina di casa.