Il cappello a cono di paglia

06.02.2015 07:23

Avanzando pigramente in sella alla propria bicicletta, Mauro fischiettava una vecchia canzone tornata in mente per caso. Il sole picchiava sull'asfalto, dando al paesaggio in lontananza un senso di magia. Rise, pensando alla fortuna che possedeva nello svolgere un lavoro che gli piaceva e che lo manteneva pure in forma. Calcò più a fondo la visiera, in modo da ripararsi gli occhi e riprese a pedalare, aggiustando la tracolla in cui erano contenuti i documenti da consegnare. Venticinque anni, un lavoro da pony express, in attesa del grande salto, che aveva le sembianze di un posto da responsabile in una piccola azienda. Tre mesi prima si era laureato il Economia, ma aveva scelto di prendersi un anno sabbatico prima di cercare un lavoro vero. Per adesso gli andava bene così, nonostante i genitori lo spingessero a cambiare idea. La ditta per la quale lavorava aveva sede in periferia, e per raggiungere la cittadina doveva passare per un tratto in campagna. Luoghi noti, edifici conosciuti, stesse facce che scambiavano saluti e sorrisi. Un oggetto a breve distanza lo incuriosì, appoggiato sul ciglio della strada e di colore giallo. Sembrava un enorme cono gelato, e quando gli fu vicino capì di cosa si trattava: un cappello a cono di paglia, un sugegasa giapponese, se non ricordava male. La curiosità lo spinse a scendere dalla bicicletta per osservarlo, in fondo non era una cosa che si poteva trovare ogni giorno. Sembrava essere stato usato parecchio, viste le condizioni, e quando lo tirò su scorse i lacci in seta scivolare verso il basso. Era un ritrovamento interessante, di sicuro caduto da qualche auto. Quando però lo voltò per osservarlo meglio, un grido strozzato gli salì alla gola. L'interno era completamente intriso di sangue rappreso, in mezzo al quale spuntavano ciocche di capelli di colore scuro. Nonostante il caldo un brivido freddo lo percorse.

Si guardò attorno spaventato, quasi aspettandosi di vedere lì attorno il povero proprietario di quelle ciocche insanguinate. Gli tremavano le mani, non sapeva cosa fare, non riusciva a produrre un pensiero con un senso compiuto e nello stesso tempo non riusciva a separarsi dall'oggetto e a fuggire via come se nulla fosse successo. Cercò con lo sguardo qualcosa che potesse dargli una qualche spiegazione, magari dell'altro sangue, magari qualche atro oggetto che potesse aiutarlo. E invece nulla.
Senza sapere il motivo, ma seguendo più che altro l'istinto, si diresse conducendo la sua bici con una mano e con l'altra continuando a stringere il cappello, verso una stradina che portava ad un gruppo di case unifamiliari. Le case non avevano nulla che avesse attirato la sua attenzione, ma erano il posto abitato più vicino a dove aveva ritrovato il cappello che tanta paura gli suscitava, ma dal quale non riusciva a separarsi. Gli facevano orrore quelle ciocche di capelli, ma la sua propensione all'avventura lo facevano diventare il classico ragazzo che spera di poter risolvere un mistero. Si infilò nella piccola stradina sterrata che si incuneava tra le casette linde di quello sprazzo di campagna prima della città. Mentre camminava osservava il ciglio della strada ora da una parte ora dall'altra in cerca di indizi. Superò le prime tre case e proprio subito prima che la stradina svoltasse vide due lacci tipo quelli che pendevano dal cappello che aveva in mano. Si chinò per raccoglierli e poco più avanti vide una tunica di seta blu accartocciata su se stessa. Appoggiò la bicicletta al suolo e si accinse a raccogliere l'indumento: soffocò un altro grido quando si accorse che anche quello era sporco di sangue ugualmente rappreso e quando lo sollevò vide anche che aveva uno squarcio verticale netto.

No. No. No. Si rifiutava quasi di credere a ciò che stava vedendo. La sua mente non era assolutamente da cose di quel genere. Studiare, far casino con gli amici, tentare di mettere in piedi una storia seria con quella fanciulla che, beh, sì, quella, fare qualche lavoretto, cercare di combinare qualcosa di vagamente costruttivo, ecco, quello sì che era il suo mondo. Quella, invece, era una situazione del piffero in cui qualcuno, deficiente criminale idiota storto, prima o poi sarebbe uscito da un cespuglio a dire che era tutto uno scherzo e che la deficiente criminale idiota storta televisione lo stava riprendendo. Lì c'erano una tunica di seta che sembrava un kimono, insanguinata, un cappello sugegasa alla giapponese, altrettanto insanguinato - in mezzo alla campagna - e nessuno in giro. La quiete di quelle casette lo stava cominciando ad agitare. I grilli cantavano con una certa intensità ed erano l'unico suono udibile a distanza. Si alzò in piedi tenendo in mano il kimono e si guardò attorno. Una finestra sembrò muoversi. Ovvio che una finestra di una casa non si muove, ma in quel momento, con la luce, lo stordimento del caldo e la paura fitta che lo assaliva, ci mise un po' a capire che ad una delle finestre al piano terra della casetta più vicina qualcuno lo stava guardando. Era una tenda, quella che si era mossa.

"Ehi!" gridò con tutto il fiato che aveva "Eeeehiiii. Avete visto nessuno da queste parti?"
Gli unici a rispondergli furono il rumore dei grilli ed il suono di una macchina agricola, forse un piccolo trattore, abbastanza vicino, nel campo adiacente. A Mauro parve per un attimo che il trattore si fosse fermato ed un uomo ne fosse sceso. Cominciò a correre in quella direzione.
"Ehi, scusi, avete visto..." inciampò, cadendo lungo disteso nel cespuglio, proprio sopra un corpo, o quel poco che ne era rimasto.​

Alzò la testa inorridito, per poi sentire qualcosa di duro contro la testa. Quello che aveva davanti agli occhi era raccapricciante, di una violenza inaudita. Un povero corpo di ragazza, coperto solo dagli indumenti intimi e con al posto della faccia una grossa pozza sanguinolenta.
-Fermo, non ti girare!- gli intimò una voce maschile, dal forte accento straniero. -In piedi e procedi avanti. Prosegui fino a quella casa davanti a te. Se solo provi a guardarmi sei morto!-
Mauro trattenne un conato di vomito, mentre altri passi dietro di lui si stavano avvicinando. L'uomo diede ordine agli altri di recuperare il corpo, mentre lui si sarebbe occupato del ficcanaso. -La prego, non mi faccia del male. Ho con me pochi spiccioli, ma li prenda...-
Una botta alla spalla lo fece gemere. -Non so che farmene della tua elemosina! Ho talmente tanti soldi da coprirti. Stai zitto e cammina!-

Mauro sentì la paura stringergli lo stomaco, il suo futuro svanire come neve al sole, mentre quella tenda, sul lato opposto della strada continuava a muoversi. C'era qualcuno, di sicuro stava osservando tutto. Pregò in cuor suo che avvisasse la Polizia, poi un'idea gli attraversò il cervello.
-Tra dieci minuti devo essere in città- disse, la voce tremante. -il geolocalizzatore avvertirà la ditta in caso di ritardo- i passi dietro di lui si fermarono.

-Che cazzo dici?- il tono era cambiato, una vena di preoccupazione. -Che geo... cosa? Tiralo fuori o ti ammazzo qui- il panico si fece ancora più forte.

-Se mi lasci andare nessun verrà a cercarti, ma se mi fai del male nel giro di venti minuti riceverai una visita molto sgradita. E io non ho intenzione di dirti dove si trova!- non sapeva da dove usciva quel coraggio, forse solo dall'istinto di sopravvivenza.

-Allora verrai con me, e farai per conto mio ogni cosa che ti chiederò di fare, ora puoi voltarti!- disse l'uomo. La sua faccia era di un verde acido, una cicatrice sulla fronte. Asiatico si direbbe dall'aspetto. Ciò nonostante si presenta come un asiatico piuttosto corpulento e forzuto. Niente a che vedere coi mingherlini dei negozi. Nei suoi occhi c'era una patina rossastra. Una delle sue narici era velata di bianco. Cocaina forse. Due uomini bianchi erano alle sue spalle, due collaboratori, il terzo sarebbe stato proprio lui. L'uomo caricò Mauro in auto fino a giungere ad un vecchio casale. -Ora spogliati!Completamente. E se le cose che mi hai detto sono vere, allora nessuno potrà mai più ritrovarti.- disse l'uomo punzecchiando il petto dell'uomo con una calibro vecchio tipo.- Ma io non voglio lavorare per te, voglio soltanto tornarmene a casa e basta. Non ne farò parola con nessuno, te lo giuro- Grida Mauro impaurito. - Dice un vecchio proverbio cinese, giurare è mentire due volte. La parola data da un uomo può cambiare e stravolgersi nel giro di un secondo. A me le bugie non piacciono ragazzino- conclude l'asiatico.

Le porte del casale si chiudono alle spalle dei tre con un fragoroso rumore. E' legno marcio quello che sferza ed impressiona. Mauro lascia cadere gli indumenti ai suoi piedi, si spoglia completamente di quello che fino a poche ore fa credeva di essere. Niente pony express, nè posta, niente di niente. Indossa degli indumenti completamente neri, e non si riconosce. Fa mente locale di quelle campagne ormai lontane, nella testa un solo pensiero: scappa. Ma se dovesse scappare, e venisse scoperto forse non ci sarebbe alcuna possibilità di salvezza. -Si l'asiatico ucciso è opera mia, anche la donna su cui sei caduto, sempre merito mio.Ma l'ultimo colpo, il più difficile spetta a te. Nessuno sospetterebbe di questo faccino pallido-

L'uomo corpulento si avvicinò a Mauro facendogli indossare il cappello di paglia fissandolo al collo con due lacci in seta blu. "Che fosse un simbolo di appartenenza a qualche setta"?"Cosa ci faceva un uomo dichiaratamente caucasico come lui vestito da cinese"? Con la pistola puntata al centro della spina dorsale, seguì mestamente quello che pareva il capo di quello strano clan. La tenda dalla quale pareva che qualcuno spiasse alla finestra ora era immobile. Un uomo grasso e tozzo con le mani piene di anelli ed un sigaro puzzolente in bocca, gli consegnò un pacchetto incartato ." Nascondilo sotto la tua tuta e non mollarlo, neanche per un secondo, non sei tenuto a conoscerne il contenuto". Devi attraversare la campagna fino a giungere in una corte di case gialle. Chiedi di Don Reno e consegnalo a lui". " Non tentare di fare il furbo, Ming ti terrà sotto controllo. "E poi sarò libero"? Bisbigliò Mauro. Con un ghigno dipinto sul viso sfregiato l'energumeno cinese accennò un si con la testa. Mauro era sicuro che nel pacchetto ci fosse della droga. Gli uomini uccisi indossavano anche loro un cappello di paglia ed erano morti sfigurati, anche loro le pedine e vittime di rivalità di trafficanti di droga. Mentre stava camminando lungo il viale polveroso, un luccichio tra gli alberi attirò la sua attenzione, cercando di non farsi scorgere dai delinquenti che lo seguivano, cercò di affilare la vista.Era il riflesso di un vetro, lì dietro c'era qualcuno. Ormai era un uomo morto comunque, tanto valeva rischiare. Scorse degli uomini tra i cespugli, erano poliziotti, dell'antidroga probabilmente. Iniziò ad invocare aiuto correndo nella loro direzione, era salvo. Dall'agitazione non aveva sentito gli avvertimenti della polizia che lo aveva scambiato per l'ennesimo trafficante. Un colpo lo colpì dritto nel petto.