Bianco Inga

27.03.2015 15:04

Con la collaborazione di Aldo Mosnja

La neve scendeva fitta sugli alberi ricurvi della Svezia. Ogni cosa era al posto suo, o almeno la natura dava modo di vedere soltanto questo. Inga correva forte, i suoi arti erano i più veloci mai visti. La sua pelle bianca era invidiata da molti compagni. Non c'era quasi nessuno che fosse come lei, era speciale, ed è quello che gli veniva ripetuto continuamente da quando era stata messa al mondo. Inga era di una bellezza disarmante, c'era un piccolo dettaglio che lasciava esterrefatti, lei era un lupo, un delizioso lupo bianco. Giovane, fiero. I suoi occhi il riflesso di un mare strisciato su una foglia. Le sue zampe due carezze. Inga era cresciuta in un bosco della Svezia, il suo branco, quello degli Invù, il più forte e spietato. Un gruppo di lupi neri e una piccola lupetta bianca. Sua madre una meticcia l'aveva messa al mondo perdendo la vita. Si dice che tutta la sua forza vitale sia stata trasmessa ad Inga durante il suo ultimo respiro. Una sola cosa contraddistingueva gli Invù rispetto al volgare lupo terrestre. Di giorno lupi di notte uomini. La lupa odiava questo assurdo cambiare forma, odiava questa trasformazione repentina in un modo così violento che non aveva mai permesso ad una pozzanghera o ad uno specchio di riflettere la sua immagine. Non aveva neppure il coraggio di guardare negli occhi gli altri uomini, per quanto avesse paura di vedere la sua immagine di donna sfiorare il sole che sorge e ridiventare una bestia. Una sola possibilità esisteva per i lupi Invù, per stabilizzare la forma umana e abbandonare la bestia in modo definitivo. La leggenda raccontache solo un lupo coraggioso avrebbe potuto compiere un tale gesto. Uccidere cinque uomini. Mai l'umanità desiderata avrebbe dovuto interferire coi piani di un vero Invù. Inga nel suo sedicesimo anno di vita giaceva sotto la neve, un'altra notte ancora, una faccia che non avrebbe visto neanche stavolta.

I fratelli erano partiti al calare delle tenebre per raggiungere il vicino paese, ma lei era rimasta ferma ad osservarli, come sempre, senza avere la forza di opporsi al dolore che la attanagliava. Gli umani, li conosceva bene, riusciva a fiutarli a distanza, percepire la cattiveria che mettevano nel piazzare trappole. La pelle di lupo era pregiata e Padjelanta​, la zona in cui viveva, ricca di laghi e foreste, pullulava di branchi. Ma nessuno era come gli Invù, nessuno possedeva sul capo la maledizione. I fratelli erano diversi da lei, si accontentavano di potersi trasformare di notte per raggiungere il paese e finire con l'ubriacarsi nelle braccia di donne umane. Qualche tempo prima Hanud, il suo fratello prediletto, aveva rischiato di essere scoperto nella stanza che occupava con la conquista notturna. Aveva visto arrivare gli altri e, notando l'assenza di Hanud, aveva capito che occorreva un intervento che gli altri ubriachi non avrebbero potuto dare. Le luci dell'alba stavano lambendo il paesaggio a nord, Inga aspettò il momento, si contorse a terra nella trasformazione, poi corse, veloce e leggiadra, sino alle prime case. Il fiuto non poteva tradirla, l'odore di Hanud era stampato nel suo cervello e l'avrebbe trovato anche ad occhi chiuse. Poca gente in giro, umani infreddoliti avvolti in stracci logori, alcuni cani randagi che la osservarono sfuggenti. L'odore la condusse ad una finestra, dalla quale scorse Hanud in forma di lupo, sdraiato sul letto accanto ad un'umana nuda. La rabbia si impossessò di lei, avrebbe voluto ucciderla, sbranarla, portando ad uno il numero delle vittime occorrenti. Ma Inga non voleva, lei amava essere un lupo e prima o poi avrebbe trovato il modo di riuscirci. Picchiò con la zampa contro al vetro, fino a quando Hanud non aprì gli occhi. -Ehi, via da qui!- sentì urlare; si girò, incontrando gli occhi di un ragazzo umano, occhi chiari, azzurri come il cielo.

Inga rimase ferma, gli occhi dal riflesso del mare fissi negli occhi azzurri di lui, un leggero e sommesso ringhio emesso dal profondo del suo stomaco. Il ragazzo la guardò un po' impaurito, ma di nuovo gridò - Vattene! Vai via! - . Inga non poteva andarsene, voleva essere sicura che Hanud fosse uscito dalla stanza dell'umana. Lo intravide sgattaiolare, scuro e silenzioso, da quella che poteva essere la sua trappola, lo sguardo sempre fisso sull'umano, il ringhio sommesso sempre presente a ricordare la sua forza. Ma guardare quell'umano che non aveva paura di avvicinarsi era come guardare se stessa. Sentì quello sguardo trafiggerla nel profondo, ma quello che sentì non era dolore e l'odore di quell'umano non era il solito che lei tanto odiava. Per la prima volta Inga sentì che la donna dentro di lei non era una parte estranea, ma una parte che le apparteneva e che per la prima volta avrebbe voluto mostrare.
Rimasero a fissarsi senza muoversi per un tempo che parve infinito, ma che in realtà furono pochi secondi, poi Inga senti il ringhio del fratello che la chiamava e subito si voltò e corse via. Il giovane rimase a guardare il suo candido mantello e l'eleganza di quello splendido lupo lo ubriacò. E' mai possibile specchiarsi negli occhi trasparenti di un animale selvaggio e restarne rapiti come se quegli occhi avessero qualcosa di umano? La risposta dovrebbe essere no, ma il ragazzo si diresse verso casa con nella mente l'immagine di uno sguardo che mai così lo aveva turbato. Avrebbe dovuto avere paura di quel lupo, invece ne era attirato.
Inga abbaiò furiosamente al fratello Hanud, troppo sventato, troppo legato al suo essere umano. Lui non le prestò attenzione e lei ebbe la triste convinzione che avrebbe dovuto uccidere per lui, per salvarlo da se stesso. Forse un giorno avrebbe dovuto uccidere proprio lui.

Matilda stirò le braccia e fece scorrere la mano sulle lenzuola. Sparito. Come sempre, ogni volta che finivano a letto per fare l'amore. Sospirò pensando a quanto bello fosse Hanud, di come i suoi occhi avessero una luce che le ricordava i grandi spazi aperti e le foreste verdi della sua terra. Si incontravano la sera, si amavano e poi lui spariva. E questo durava ormai da un paio di mesi, da quando si erano incontrati in centro e si erano guardati come solo due anime simili possono fare. Era in mezzo ai suoi fratelli, tutti ragazzi belli, ma lui aveva qualcosa che l'aveva rapita all'istante, facendole capire che l'amore compare davvero all'improvviso.
-Matilda, forza in piedi!- sentì bussare alla porta. Era suo fratello Folke che la stava chiamando. Si lavò e vestì in fretta, poi lo raggiunse in cucina, dove trovò ad attenderla la colazione.
-Quella lupa ha avuto l'ardire di venire sino a casa nostra- il ragazzo versò il caffè nella tazza di Matilda.
-Quale? Vuoi dire Bianca?-
-Si, e per la prima volta l'ho vista da vicino. E' bellissima, anche se incute paura. Stava in piedi, arrampicata sul davanzale della tua camera e pareva osservarti. Mi sono avvicinato per mandarla via e lei è rimasta a guardarmi, con quegli occhi chiari che... mi hanno turbato-.
-Turbato? Un lupo?-
-Si... cioè, non so come spiegarti. In quel momento è come se stessi guardando una persona, o almeno un essere che non era solo un animale, ma qualcosa di più...-
Gli occhi di Hanud, quelli di Bianca, il sentimento che attraversava lei e Folke; le sembrò quasi di precipitare in un sogno, persa in un mondo irreale.

Il villaggio di Jahkagasska​ era la meta preferita dei fratelli di Inga, e di molti altri appartenenti agli Invù. Quel posto pullulava di giovani donne ingenue, capaci di donarsi agli stranieri purché essi fossero affascinanti. Ad Inga concedersi così in fretta sembrava un modo assurdo per perdere se stessi. Non si era mai avvicinata al villaggio prima di quella mattina, eppure l'incoscienza di Hanud l'aveva spinta con coraggio fino a quel punto. La lupa sapeva che non tutte le cose accadono senza un motivo, e questa di certo non era una di quelle. Per salvare Hanud aveva forse salvato se stessa dall'aridità del suo cuore. Mai prima d'allora due occhi avevano sfiorato i suoi in quel modo. Qualcuno del branco l'aveva corteggiata una volta, ma la sua negazione per la vita di ''coppia'' l'avevano sempre spinta verso l'avventura. Inga aveva sempre preferito il branco, eppure stavolta ad una moltitudine era prevalsa una singolarità, e quella singola gioia era di quello straniero. Aspettò tutto il giorno che arrivasse la notte. La lupa corse per chilometri senza mai essere stanca. Il branco mise in tavola una renna anziana. Mai come quella volta quella carne le sembrò gustosa. Il sole rincorse ogni ramoscello che il suo corpo agile spezzava a dovere, fino a quando l'ultimo raggio di luce non si disperse dietro le nuvole della notte, le stesse che presagivano qualcosa di cattivo. Hanud e Tribeis, i suoi fratelli corsero subito al villaggio per una nuova notte d'amore, lei fece finta di addormentarsi e aspettò le prime ore del mattino, quando il suo corpo si trasformò di nuovo in lupo. Aspettò ancora un' ora, ma i suoi fratelli non erano ritornati. Corse, corse a perdifiato fino a Jahkassagka, lì nel bianco della neve c'era Tribeis in una pozza di sangue. Hanud ormai lupo piangeva disteso. Inga ringhiando, si avventò sull'uomo che impugnava una mazza, stavolta pronta ad uccidere.

I canini appuntiti e taglienti come lame affondarono nella giugulare dell'uomo che inutilmente cercava di brandire il bastone come se fosse uno scacciamosche. Mai Inga aveva percepito nascere dentro di sé una rabbia rossa, come il sangue che le colava lungo il pelo immacolato come la neve. Odio per quegli uomini che da sempre proferivano dolore e rabbia al suo popolo. Solo l'ululato di Hanud la obbligò a fermarsi e a trattenersi dallo scempio che avrebbe compiuto con il corpo oramai molle della vittima umana. Lo sbuffo di alito caldo divenne fumo nell'aria gelida. Urla di terrore e di rabbia provenivano da ogni angolo di Jahkassagka. Hanud le si parò davanti, mostrando i denti in un ghigno contrito, pronto a proteggerla dall'ira degli abitanti che avrebbero vendicato con qualsiasi mezzo il loro concittadino. Come una fiamma spenta da acqua gelata Inga si calmò, avrebbe voluto piangere la morte del fratello, distendersi accanto a lui e leccare con la lingua ruvida il pelo rappreso di sangue. Il sesto senso da lupo però la incitava a scappare, avrebbe dovuto uccidere altre vite, altri uomini e per quel giorno era troppo. Hanud la spinse con il muso verso l'uscita del paese, se volevano vivere avrebbero dovuto scappare, forse per sempre. Come due fuggitivi avrebbero vagato senza meta, gli Jahkassagkan non dimenticavano facilmente. Inga si divincolò tra la folla seguita dal fratello, corse fino a quando non le si parò davanti un uomo. Il tempo si immobilizzò, gli occhi di lupa si rispecchiarono in quelli del giovane e bellissimo ragazzo che immobilizzato di fronte a lei le stava puntando la canna del fucile al centro della testa. Quello sguardo limpido non poteva scordarlo, Folke la stava fissando.

Il dito di Folke sfiorava il sensibile grilletto del fucile; l'adrenalina era a mille. Da quella distanza non poteva mancare il bersaglio. Ancora un attimo di esitazione per ammirare la fierezza di quel animale. La lupa era pronta a scattare ed attaccare l'umano in un estremo tentativo di sopravvivenza. Pelo irto e dentatura in evidenza dalla contrazione del muso; un ringhio sommesso e piccoli passi di sfida. L'esitazione di Folke gli fu fatale: lo sguardo dell'animale era riuscito ad ipnotizzarlo, ed ora era come pietrificato - il cervello inviava il comando al dito di sparare, ma il corpo non ubbidiva. La paura gli trasmetteva gelo che saliva dai piedi fin su alla testa e presto gli paralizzava anche il pensiero. I suoi occhi erano prigionieri di quello sguardo reso terribile dall'ira. Era la sua fine - sentiva già i poderosi canini del lupo penetrargli nel collo. Fu un attimo e si sentì liberato da ogni paura e credette che morire sarebbe stato dolce come abbandonarsi tra le braccia di una bella donna.
Ma non successe niente. Bianca abbandonò la posizione di attacco. Guardò il giovane umano con uno sguardo quasi umano, quindi girò su se stessa e con uno scatto fulmineo scomparve nel bosco.
Folke stentò a riprendere controllo del corpo. Accorsero altri uomini. Il suo amico, Sven lo rimproverò: "Che ti succede, Folke? L'abbiamo visto: quel lupo bianco non aveva scappo. Perché non hai sparato? Lo sai che farà altre vittime: è assetato di sangue."
Folke era spossato; il fucile abbassato quai a sfiorare la neve; lo sguardo nel vuoto; la voce flebile che ripeteva; "Non lo so. Non so perché. Non potevo."
In lontananza un lungo ululato.

La tribù degli Invù era completamente fuori di se. Non potevano pensare che ancora una volta gli umani avessero ucciso uno di loro senza neppure un reale motivo. I lupi usavano le loro donne, ma questo era dato di sapere soltanto alla tribù stessa. Per gli umani quegli animali non erano altro che creature in fuga. Gli Invù non erano violenti di natura, adoravano soltanto divertirsi e correre, correre era la cosa che sapevano fare di più. Il corpo di Tribeis rimase nelle mani degli uomini, la sua pelle tirata via e trasformata in qualche indumento.
-L'hai fatto eh..- disse Hanud alla lupa ormai trasformata in umana
-Non ho avuto scelta- rispose la giovane - C'è sempre una scelta Inga, hai emulato soltanto la loro violenza. E in più hai innescato la maledizione, te ne mancano quattro e sarai un umana-
-Io non voglio essere umana. Una sporca umana come loro per giunta! Posso fermarmi, una sola morte non cambierà la mia forma- - Sai già che non funziona così, un Invù che inizia deve finire.- Hanud lasciò la grotta dove la tribù era rifugiata. Un lungo pianto di dolore percorreva le strette mura rocciose, gli ululati arrivarono fino al villaggio, lo stesso dove gli uomini si stavano già preparando ad una grande caccia. A Jahkassaka erano tutti furiosi con Folke. Era stato vigliacco a non sparare, stupido a non difendere la sua razza a discapito soltanto di una bestia assassina.
Il più anziano del villaggio Omar, diede appuntamento a Folke in una radura alle pendici del rifugio dei lupi. A Jahkassaka tanta era la bontà, quanto il castigo per i ribelli. Folke doveva essere ucciso, che fosse d'esempio per tutti. Il giovane si guardava intorno, non capiva l'entità di quell'appuntamento improvviso, eppure d'un tratto, dall'albero vicino sbucarono tre uomini armati, quelli che nel villaggio sbrigavano gli affari di sangue. Inga fiutò la paura del giovane.

Folke ebbe un attimo di paura che subito scacciò. Sapeva chi erano quegli uomini e qual'era la loro mansione,ma il motivo per cui erano lì non poteva non essere la caccia ai lupi. Insieme a loro, che erano i più feroci del villaggio, era sicuro che non solo avrebbero ucciso l'animale dal candido pelo, ma sgominato tutto il branco.Quegli uomini però avevano uno sguardo minaccioso e quello sguardo era rivolto a lui. I tre lo accerchiarono. Folke vide nei loro occhi il riflesso della morte e in quel momento capì. - Siete qui per uccidere me,vero?-disse guardando Omar. - Ovvio, giovane idiota. Non possiamo permettere che tra noi ci sia un codardo, uno che non è in grado di uccidere una formica nemmeno se da sola si precipita sotto la sua scarpa -.- Ma io volevo ucciderlo! Solo che... il suo sguardo era uno sguardo quasi umano -.- E quindi perseveri. E quindi affermi la tua codardìa senza il minimo ritegno. Non possiamo permettere che tu ci procuri altri guai. Ragazzi venite, facciamo il nostro dovere alla svelta. I lupi penseranno a fare il resto non appena fiuteranno il sangue. - I tre uomini impugnarono i loro potenti fucili e Folke fece altrettanto, ma non appena lo fece un colpo partì e lo centrò in un braccio. Nello stesso momento l'uomo che aveva sparato cacciò un possente urlo: il lupo dal candido pelo lo aveva assalito proprio mentre sparava facendogli mancare il bersaglio e ora giaceva esanime, con il collo straziato dai morsi dell'animale. Subito gli altri esplosero i loro colpi in direzione del lupo che però fu sveltissimo a sparire. Omar e il suo compare si buttarono verso il nascondiglio,ma Inga si era spostata e li sorprese alle spalle. Preda di una folle furia omicida si avventò su di loro che esplosero colpi alla cieca, travolti dalla potenza del lupo.Benché ferita non lasciò la lotta ed i suoi possenti artigli ebbero infine la meglio.Zoppicante si avvicinò a Folke ed incrociò il suo sguardo.

Buio.
Folke riprese conoscenza e nella mente ricomparve lo sguardo della lupa prima che perdesse i sensi. Quanto tempo era passato? Era notte. Guardò nella direzione del tenue chiarore. Sembrava l'apertura di una grotta, e fuori la luna era già alta nel cielo. Non lo aiutava molto a rendersi conto del tempo trascorso: qui, vicino al circolo polare, l'inverno è come una lunga notte, con poche ore di luce; però la posizione della luna gli fece capire che erano trascorse parecchie ore da quando lo avevano colpito al braccio. Ah, il braccio: la ferita bruciava, anche se il proiettile era uscito dalla parte opposta. Si accorse che qualcuno gli aveva messo una poltiglia di erbe sulla ferita. Ma dove si trovava e chi l'aveva soccorso? Non certo la gente del suo villaggio.
Un odore familiare colse i suoi sensi. C'era un lupo nelle vicinanze. Un lieve fruscio dietro le spalle. L'uomo reagì abbandonando di scatto la posizione semi prona e cercando di alzarsi.
-"Non temere, straniero, sei al sicuro."
Folke si voltò in direzione della voce e si ritrovò a fissare lo sguardo della lupa. Un attimo di panico. Ma poi vide che quello sguardo apparteneva ad una giovane donna. La donna era avvolta in una pelliccia di lupo bianco. Folke si chiese come fosse possibile riuscire a vederla nonostante il buio nella caverna: era come avvolta da una tenue luminescenza che rendeva possibile distinguere ogni particolare del suo essere - era di una bellezza folgorante. Folke si sentiva attratto come da una calamita, ma nello stesso tempo era pervaso da un timore reverenziale nei confronti di quella creatura che aveva qualcosa di sopranaturale.
La donna gli sorrise e l'uomo sentì che quello sguardo gli stava sondando l'anima.
-"Sono Inga", disse con una voce che a Folke sembrò arrivargli da dentro se stesso.

-Non conosco nessuna Inga- rispose Folke spaventato. - Già, lo immagino, ma io ti conosco, e credo che basti già il fatto che sei sano e salvo nella mia grotta, ti ho guardato dormire per diverse ore- rispose la giovane -Grotta? vivi in una grotta?- chiese Folke drizzando le spalle sulla superficie rocciosa. - Quando non sono là fuori a correre o a salvare mio fratello dalla sua idiozia sono qua, questa è casa mia- - Strano che una ragazza bella e giovane come te viva in una grotta, sei povera forse?- - E cos'è la povertà per noialtri?- -Voi altri?- chiese il giovane visibilmente scosso. - Folke, guardami bene.. cos'è che vedi?- Il ragazzo fissava gli occhi della lupa con una tale intensità da tuffarsi dentro quell'iride liquida. Il buio offuscava il luogo, ma non la bellezza di quella creatura mistica che gli aveva salvato la vita. Non riusciva più a parlare, nè a muoversi, ma più guardava quegli occhi più il suo cuore sembrava incepparsi in un moto incessante. Fino a che non provò paura, e poi eccitazione, e poi altre mille cose ancora, fece per rialzarsi ma uno strano oggetto cadde dalla sua tasca. Uno specchio. Questo si ruppe in quattro parti, in ognuna di esse Inga riuscì a vedere il suo volto. Indietreggiò per paura. Non sapeva che diavoleria fosse quella. Gli oggetti degli uomini la spaventavano oltre ogni misura, le sembravano tutti così violenti e folli. Inga camminava carponi, non era molto brava nel camminare su due gambe, l'aveva fatto davvero poco in tutte le sue notti di vita.Strisciò in silenzio fino allo specchio, fissava il suo viso come si guarda per la prima volta il Sole, la Luna, o una stella cadente. Si portò le dita sulla faccia, rimarcò ogni linea di quello che doveva di sicuro essere un volto umano. Si morse le labbra, le stesse che avevano strappato a denti aguzzi una giugulare pulsante. Poi fissando il suo sguardo lussurioso di chi sta affezionandosi a qualcosa di sbagliato si ritrasse rizzandosi in piedi.

-Resterò così per sempre adesso, mi sono macchiata di sangue innocente, la mia tribù mi odierà- sussurrò piangendo Inga. - Cosa c'è di male nel tuo aspetto?- chiese Folke - Ho perso me stessa Folke, io..io.. non so cosa mi sia successo, mio fratello Hanud mi aveva avvertito che non avrei smesso fino alla quinta vittima, c'è qualcosa di sbagliato in me, una lupa non dovrebbe desiderare un corpo umano, non se questo rappresenta la malvagità.- - Credi che io sia malvagio?- - No..- rispose Inga correndogli incontro. - Non tutti gli uomini lo sono, avresti dovuto impararlo adesso.- - Tu sei Bianca, non è vero?- chiese Folke ormai in estasi totale. - E' così che mi chiamate al villaggio?- - Si.. o almeno io e mia sorella ti chiamiamo così. Quando eravamo più piccoli spesso giocavamo ai margini del villaggio, spesso ti vedevamo da lontano, anche tu eri una piccola lupa. La nostra cultura ci impone di essere nemici, ma cosa ci rende nemici?- In quel momento nella memoria di Folke ritornarono mille ricordi. Matilda più piccola di due anni lo tirava per un braccio in direzione del bosco. Negli occhi il bianco di Inga, il bianco del suo pelo, il bianco della neve e delle orme che lasciavano le sue sottili zampe. Bianco come il nome che gli era stato dato violando la sua vera identità. Bianco come i sentimenti che esplodevano nel suo cuore quando quella lupa sembrava sorridergli. Bianco come l'amore di chi annulla il nemico, di chi pareggia i conti senza lottare. Bianco, come il colore che aveva amato. Un bianco Inga che l'aveva stregato dal principio di ogni cosa.
Il giorno rischiarò dietro le montagne possenti di Jhakassagka, il sangue versato sembrò colare via dal bianco viso di Inga, ormai poggiata ad un albero, su due gambe, accanto a Folke.